Qualche giorno si alzavano i gomiti (libiamo libiamo ai lieti calici ) davanti a una pila di microfoni e di telecamere durante il Vinitaly , neanche fosse stato un summit internazionale di capi di stato e di governo. E invece – non senza soggezione – tanti hanno osservato un gelido deserto di parole e di sorrisi a seguito di un velocissimo Consiglio dei ministri di ieri durante il quale è stato approvato – bevande escluse – il documento economico e finanziario conosciuto come il DEF, atto di indirizzo di metà anno della politica economica del nostro paese.
Evaporati i fumi etilici dei giorni scorsi, il governo gialloverde guarda alla realtà come se (finalmente) ci fosse un oggi e un domani che poi è quello di tutti gli italiani. I retroscena si sprecano e comunque io me l’immagino i volti stanchi ed ebbri del premier e i suoi due vicepremier che incrociano lo sguardo sobrio ma sereno del ministro dell’economia Giovanni Tria il quale se ne guarda bene da volare alto dopo due conti della serva. Siamo davanti – leggo in queste ore – ad una sorta di inversione a “U” delle cifre per cui da una previsione di crescita del 3 per cento (Savona) abbassatasi all’1,5 e stabillizzatasi al solo 1% mal che vada si arriverà allo 0,1/0,2 tendenziale.
Dobbiamo stare pronti. Se salta tutto, e non lo escludo, l’orizzonte è un campo largo di centrosinistra, anche se certamente dipende dalle modalità con cui si affronta la discussione…
Cosa sta succedendo? Sono tutte operazioni dal sicuro ritorno elettorale, ma dall’impatto mediocre sull’economia, dice l’ex presidente dell’Istat Giovannini. Quindi l’immodestia dell’esecutivo rischia di produrre ina modesta modesta, risultati pari allo zero, l’esatto opposto degli annunci mirabolanti preconizzati.
Il Def perciò fotografa non solo le difficoltà obiettive della fase economica che attraversa il Paese, con una crescita economica 2019 ridotta ai minimi termini (+0,2%) e con un debito pubblico che esplode a quota 132,7% del Pil. Rappresenta in modo eloquente anche le difficoltà politiche di una coalizione di governo che non appare più in grado di mantenere le promesse, avendo probabilmente esaurito le cartucce e non portando a termine la prima ondata di annunci. E sul deficit si toccherà quota 2,4% del Pil, dal 2,04% che era stato raggiunto dopo la lunga trattativa con Bruxelles. In poche parole, soldi sprecati , risorse non ottimizzate e incapaci di espandere la crescita.
Sulla flat tax l’impegno entro l’anno è di approvare una rivoluzione storica …
Possiamo chiamarlo obiettivo fallito oppure siamo di parte? Perché l’esecutivo attuale non ha imparato le lezioni del passato per cui le misure economiche – ancorché le si definiscono riforme epocali – hanno bisogno di tempo, attecchire nel medio e lungo termine mentre le promesse tutte e subito sono fasulle? Se poi quanto promesso era già di per se irrealizzabile perché – nel precipitare – far sbattere un intero paese? Sono concorde con chi commenta che di questo passo l’Italia rischia di andare a sbattere la faccia contro un muro. Perché – ancora mi chiedo – questa ricerca spasmodica da parte di Salvini e Di Maio del consenso senza poi poter dimostrare con argomenti seri ed evidenze oggettive le proprie ricette? Se vi riguardate l’ultima puntata di Report sul reddito di cittadinanza vedrete un vicepremier in difficoltà e in imbarazzo, per usare un eufemismo.