Dovrebbe essere una festa e invece si litiga, dovrebbe unire e al contrario divide. Dovrebbe farci sentire un unico paese ma – eterogenesi dei fini – frantuma l’Italia in tante piccole (e misere) e incomplete narrazioni di comodo come fossimo – secondo la famosa espressione letta a scuola – divisi in tanti piccoli staterelli (con quel suffisso elli indicativo di una certa accenutazione negativa). A sentire la nuova politica che avanza che sovrascrive il presente con un latro presente dovremmo forse liberarci del 25 aprile chiudendo la questione diventata roba da radical chic. Oppure dovremmo smetterla – come afferma l’attuale ministro degli interni – con il solito derby comunisti contro fascisti ed occuparci proprio oggi di mafia come a comunicare l’urgenza delle cose concrete. Dimenticando – proprio in ordine alla criminalità organizzata – che sono altri i luoghi diventati baricentro di traffici delle mafie ma lasciamo stare. Stando al valore che si da alla storia, è molto più intelligente seguire le indicazioni fornite dalla riflessione serena e argomentata del presidente della Repubblica Sergio Mattarella pronunciate ieri per il 25 aprile.
Cariche di senso dei fatti e di pedagogia politica, le parole del Capo dello Stato il quale hanno smantellato l’ennesimo tentativo di rendere centrifuga e divisiva la festa del 25 aprile evidenziandone proprio la sua energia contraria, quella aggregante e coagulante. Una forza che nasce dalla Resistenza e arriva alla Repubblica e alla sua Costituzione attraverso una polifonia di voci, una pluralità colorata di forze democratiche che hanno fondato il nostro paese senza – afferma Mattarella – “che nessuno possa vantare egemonie politiche o contestarle. Così (il 25 aprile) rinfrescherà la memoria a chi si ostina a dire che a impegnarsi nella lotta di Liberazione furono solo i 500 mila partigiani («a prevalenza rossi», si recrimina). Non fu così. Si trattò invece — e lo rimarcherà — di un movimento allargato, nel quale furono coinvolti anche migliaia di nostri militari (per esempio a Cefalonia, nell’Egeo, in Corsica, nei Balcani) e i 600 mila deportati nei lager tedeschi (che avrebbero potuto sottrarsi alla prigionia scegliendo Salò), e le popolazioni civili che aiutarono i «ribelli» rischiando la vita e affiancandoli nelle insurrezioni in varie città e, infine, moltissime donne. E proprio il ruolo femminile il presidente ha voluto che fosse sottolineato a Vittorio Veneto, dove la cerimonia sarà «in rosa».
I giovani facciano propri i valori costituzionali. La festa del 25 aprile ci stimola a riflettere come il nostro Paese seppe risorgere dopo la tragedia della seconda guerra mondiale. Un vero secondo risorgimento
Con queste parole si arriva al vero cruccio dell’Italia ossia l’ostinazione perversa ancora a non sentirsi “unum”, una sola nazione accomunata dalla stessa fondazione storica. Quello che – infatti – può valere al positivo in termini di bellezza nelle arti, nelle musiche, nei paesaggi così come nelle cucine (messi appunto al plurale) non può ancora essere accettato per la Repubblica (una al singolare) come se la storia non fosse trascorsa. Al netto della liberazione da parte anglo-americana, è grazie alla Resistenza che il nostro paese si è meritato legittimità territoriale e dignità internazionale al termine del conflitto, piaccia o no. Senza questo “martirio” le potenze vincitrici avrebbero potuto spartirsi la torta italica in porzioni più o meno abbondanti a secondo degli appetiti. Avremmo rischiato un regime di tutela da parte degli altri ma – grazie al desiderio intrinseco dell’insurrezione intra-italiana – ci si è in parte liberati da soli. Ed è questa parte che ha offerto libertà a tutti. Questa parte non è solo rossa ma bianca, verde e metteteci tutti i colori della libertà ma nella sostanza è libertà, riconciliazione, democrazia. Tutta questa libertà non la si può ancora barattare con l’avvento di nuove riscritture a buon mercato fatte da chi non sa nulla di quanto sta affermando e che – oltretutto – può farlo proprio grazie alla libertà conquistata a caro prezzo dalle generazioni precedenti.
E’ quindi un processo critico ciò che manca per trovare la consapevolezza di ciò che siamo e potremmo essere dinanzi al mondo. E nel 25 aprile la politica si misura proprio su questa capacità di unire anziché dividere trovando la sua vocazione difficile ma non impossibile ad essere singolare nella sua pluralità, fondata sulle conquiste e sugli errori dei suoi padri e delle sua madri. Se avessimo memoria, il nostro paese è stato una potenza di genio e di benessere comune solo quando si è sentito una sola nazione da Aosta a Lampedusa, dove non ci sono regioni di serie A o B ma riformista e orientato al bene di tutti. E quando ciò è avvenuto le altre nazioni si sono persino intimorite guardandoci con ammirazione e invidia.
Se ribaltassimo al positivo il ragionamento sul 25 aprile guardando con orgoglio al bello che siamo, alla libertà che abbiamo ottenuto e al genio che siamo capaci di esportare alla lettera del 25 aprile corrisponderebbe lo spirito di una nazione che innaffia le proprie radici anziché lasciarle morire di sete nella propaganda del momento.E per coloro che non si accontentano delle sciocchezze via social ma amano le opportunità del web, allora ci si può rinfrescare la memoria navigando sullo speciale di Rai Storia dedicato alla liberazione. Vi trovate documenti, immagini, teche flimate di straordinario interesse e che fa la differenza tra il web che condivide memoria e l’internet del rutto revisionista. Voi da che parte state?