Essere un espatriato significa appartenere a una classe molto privilegiata del mondo. Guida etica minima per il lavoratore all’estero nel XXI secolo.
(di FILIPPO LUBRANO, consulente sviluppo business mercati asiatici)
La vita degli Expat, con o senza famiglia, in uno dei suoi (non) luoghi più rappresentativi
Expat di tutto il mondo, unitevi: sotto un cappello di norme di buon senso (civico) e buona educazione. Troppo spesso i dirigenti e imprenditori occidentali assumono una postura da neo-colonialisti quando si trovano in un Paese in cui sono stati spediti a (o hanno scelto di) lavorare. Il rischio è tanto più alto quanto più il Paese di destinazione è lontano, geograficamente ma soprattutto culturalmente, da quello d’origine.
Ci sono ovviamente Paesi che si prestano di più a questo gioco, realtà verso cui un europeo o un americano avverte — ingiustificatamente, e spesso proprio per ignoranza — un senso di superiorità culturale e talvolta antropologica che sfocia in diversi casi nel razzismo. Per evitare questi fenomeni odiosi, ecco una lista di accorgimenti per sviluppare sensibilità che dovrebbero essere naturali, ma che raramente lo sono.
1. Tratta tutti i colleghi equamente: dovrebbe essere la regola zero, ma l’esperienza insegna che c’è invece bisogno di ribadirlo. Gli altri expat non sono “più colleghi degli altri”, e i team che funzionano davvero sono quelli autenticamente multiculturali, che abbracciano il contributo di membri locali e di altre nazionalità, non necessariamente solo da Paesi del G7. No alle federazioni tra simili: incentivano la ghettizzazione, che è una forma nemmeno troppo implicita di mobbing.
2. (Almeno prova a) Imparare la lingua locale: uno dei problemi principali dell’essere expat, è che spesso lo si è in maniera seriale. Quindi, a meno che non ci si trovi in Paesi anglofoni, è probabile che l’expat non sia molto motivato dall’imparare la lingua locale, “tanto tra due anni chissà dove sarò”. Imparare la lingua locale è però un esercizio utile anche se fine a se stesso: aumenta la flessibilità cerebrale, e quindi la propria efficienza.
3. Evita l’”effetto club-Med”: abita in una casa confortevole, certo, ma non in una reggia. Anche se l’azienda ti mette a disposizione un budget molto elevato, non è necessario spenderlo tutto. Abitare in una villa da 400 metri quadri con Jacuzzi sul terrazzo non è forse la maniera migliore di inserirsi nel contesto locale, sia se si è a Mosca, sia a maggior ragione a Phnom Penh. Per comprendere il vissuto locale è necessario immergersi anche nei modi di vivere locali, per comprendere le loro difficoltà, ed evitare di contribuire alla gentrificazione di alcune aree e all’aumento degli affitti. Scegliere la giusta casa, e non una per impressionare, è anche un modo per evitare di farsi odiare.
4. Non fare battute sconvenienti: l’ironia non è universale, ahinoi. La battuta a sfondo religioso farà sganasciare i colleghi laici occidentali ma potrebbe ferire quelli islamici. In generale, prima di fare una battuta, pensa bene, ma davvero bene, se ne vale la pena — e basta con quelle machiste, per favore, siamo nel 2019 (questo vale per qualsiasi luogo nel mondo).
5. Fai la spesa al mercato: se è vero che “siamo quello che mangiamo”, l’unico modo per farti davvero entrare sotto pelle una nuova cultura è mangiare quello che mangiano i locali. Il che vuol dire che puoi anche evitare di riempire la tua valigia di passate di pomodoro della nonna quando rientri dalle vacanze: immergiti nella cultura locale andando a un “fresh market” e comprando gli ingredienti della cucina del Paese dove ti trovi, freschi e a chilometro zero. Sarà un’esperienza meravigliosa, sia durante l’acquisto che dopo, a casa.
6. Non indulgere in sdoppiamenti di personalità: può succedere, e parzialmente è fisiologico. Posto che vai, persona che sei. Ma se anche Dio non ti vede, e la famiglia neppure, ricordati che i tuoi valori non cambiano a seconda della latitudine o del clima. Sii solido nella tua personalità.
7. Dedicati a un hobby locale: ok, giochi a calcetto da quando hai 11 anni? Non riusciresti a vivere senza la tua sessione di golf settimanale? Se sei espatriato a Mumbai, però, dai una chance anche al cricket. O prova a lanciarti in un pomeriggio di kokpar se sei di stanza in Kazakhstan. Potresti scoprire dei talenti che ignoravi di avere. E sicuramente farai nuovi amici che, superato lo choc iniziale di vederti lì, apprezzeranno moltissimo i tuoi sforzi di diventare “uno di loro”.
8. Evita di universalizzare la tua esperienza: no, non hai inventato tu il Paese in cui sei arrivato da 3 mesi. E anche se stai facendo un dottorato, è probabile che tu non abbia capito ancora neanche un decimo della cultura dove ti trovi catapultato. Evita quindi, quando torni a casa o senti la mamma su Skype, i tuoi spiegoni su “come sono i birmani” o “perché loro sono così, bisogna capirli”. Gnothi seauton, prima di tutto. La strada è ancora mooolto lunga.
9. Evita di idealizzare il tuo Paese natale — e anche di insultarlo eccessivamente: non sono tutti idioti quelli che sono rimasti, né tutti fenomeni quelli che se ne sono andati. E se ti mancano gli spaghetti alla chitarra della zia, è probabile che il loro ricordo sia stato modificato nel tuo cervello dalla distanza, e dal valore che le dai. Forse quand’eri a casa tua i politici del tuo Paese ti sembravano tutti ladri, ma prova a rivalutarli ora, alla luce di quello che leggi sui nuovi giornali della colazione. Se e quando tornerai, ti scoprirai infinitamente più indulgente.
10. In sintesi: Apprezza la bellezza di ciò che ti sta intorno. Comincerai a farne parte.
FILIPPO LUBRANO – Consulente Business Development per mercati asiatici.