Il mortacci ha valore educativo. L’ho scoperto grazie alla mia amica Valentina, orgogliosa oriunda del Lamaro (quartiere di Roma).
Il romano o romanesco che dir si voglia è un utile strumento per sedare le intemperanze dei propri nani mefistofelici.
Anche se Valentina sostiene che il mio accento sia più ciociaro che romano, alle pendici di Malpensa l’intercalare de’ Frosinone comunque funziona. Nel senso che i nani:
– sorpresi dal subitaneo cambiamento di tono: Aoo! Annamo… datte ‘na mossa… che è sta caccola, soffiate er naso…
– impegnati quindi a decifrare l’idioma straniero: Salutame a soreta
– presi alla sprovvista da un: Daje tutta!
dimenticano il motivo del loro recriminare – si legga: rottura di maroni.
E tutto si scioglie nella leggerezza di una risata. Ci si deve allenare, però…
Ok! Tutto bello, ma quando i figli crescono? Se gli parli in romano, capaci sono di trasformare la casa in Mafia Capitale. Eppure l’idioma der Colosseo si rivela un sempreverde anche in adolescenza.
L’ho appreso da Claudia la cui madre dovrebbe essere brevettata da ogni scuola-centro educativo – centro sociale – centro pastorale…
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