di Massimo Fiaschi*
Come lavoreremo domani? Quale approccio dobbiamo seguire per governare i cambiamenti che ci attendono, traendone benefici ed evitandone i pericoli? Quali sono le prerogative umane da valorizzare di fronte alle straordinarie capacità delle macchine?
Non è facile comprendere un processo di trasformazione quando se ne fa parte. Per non fare la fine della rana bollita dobbiamo imparare ad adattarci ai cambiamenti e, allo stesso tempo, evitare che l’acqua della pentola in cui ci troviamo diventi troppo calda. Come? Affrontando il tema del lavoro nella sua complessità, alla luce della sua interdipendenza con altre grandi questioni quali l’introduzione di nuove tecnologie nei sistemi produttivi, l’evoluzione dei paradigmi economici, del welfare e della previdenza, la giustizia sociale, la sostenibilità della spesa pubblica, i cambiamenti climatici. Tanta roba… direbbero in molti!
Tanta roba che purtroppo, nell’Italia contemporanea, non viene adeguatamente considerata nel suo insieme. L’attenzione dei media italiani nei confronti del mondo del lavoro infatti, appare a volte concentrarsi su aspetti specifici e contingenti, come la perdita di occupazione derivante da grandi crisi aziendali (Ilva, Auchan o Whirlpool, per citarne di recenti) o gli effetti dei provvedimenti legislativi che modificano la tassazione dei lavoratori.
Questa narrazione incentrata sulla ricerca del “caso” rende difficile affrontare il tema lavoro in maniera sistemica e non strumentale. Bisognerebbe invece diffondere la consapevolezza che la nostra concezione del lavoro è legata a doppio filo alle altre grandi sfide politiche, economiche e culturali che ci attendono. Questioni in costante evoluzione che, nei prossimi anni, porteranno a rapide e radicali trasformazioni della nostra vita quotidiana.
Su questi argomenti con Manageritalia siamo impegnati costantemente e su diversi livelli. In queste settimane, tramite la CIDA, stiamo partecipando a una serie di tavoli tecnici presso il ministero del Lavoro dove, insieme alle altre parti sociali, si discute di previdenza, diritti ed evoluzioni normative, nello specifico di pensioni di garanzia per i giovani, potere d’acquisto, flessibilità in uscita e previdenza complementare.
Nel contribuire alla definizione delle scelte politiche su queste materie, alla luce dell’esperienza e del ruolo della categoria che rappresentiamo, portiamo in dote una visione d’insieme del mondo del lavoro e delle imprese che parte dall’osservazione delle tendenze in atto, in particolare di quelle legate all’innovazione tecnologica e digitale, all’instabilità economica e finanziaria, alla sostenibilità economica e ambientale.
Secondo questa visione, per reagire positivamente ai cambiamenti, occorre adottare una prospettiva diversa da quella a cui siamo abituati. Cambiare prospettiva vuol dire domandarsi quali sono gli effetti di una concezione del lavoro caratterizzata dalla rigidità, effetti già sotto i nostri occhi e ancora parzialmente tamponabili, prima di diventare drammaticamente dirompenti. E affrontare alcune questioni.
In un contesto produttivo segnato dalla flessibilità, ha senso ragionare in termini di lavoro dipendente vs lavoro autonomo?
Come conciliare equità intergenerazionale, sostegno all’occupazione, diritto alla pensione e long term care, in Paesi – come l’Italia – segnati dalla denatalità e dall’invecchiamento della popolazione?
Come finanziare la formazione continua per i lavoratori, le politiche per il lavoro e quelle sociali, l’assistenza sanitaria e la previdenza, mentre i redditi restano bassi e i regimi di tassazione – specialmente per le classi medie – raggiungono livelli non più superabili? Come responsabilizzare i cittadini di fronte alla prossima fine del paternalismo di Stato, garantendo allo stesso tempo la solidarietà e l’equità, l’impegno e il merito?
Per rispondere a queste domande occorre maturare una nuova cultura del lavoro. L’impegno della rappresentanza dei manager oggi, va nella direzione di promuovere questa evoluzione culturale verso il modello di “lavoro organizzato”. Un modello che richiede un sistema di regole più semplice, stabile e trasparente di quello attuale e una rinnovata concezione della responsabilità e della partecipazione da parte dei lavoratori e dei datori di lavoro. I sindacati possono rivestire un ruolo di catalizzatore, in questa evoluzione, alla luce delle loro competenze in materia contrattuale, di welfare e di formazione.
Attorno a queste riflessioni ruota l’analisi proposta da Mario Mantovani, presidente CIDA e vicepresidente Manageritalia, nel suo recente libro “Il lavoro ha un futuro anzi tre” edito da Guerini Next, che verrà presentato a Roma mercoledì 19 febbraio all’incontro organizzato da Fondazione Prioritalia con l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e Value@work, gruppo di ricerca interdisciplinare tra accademici, rappresentanti di istituzioni e associazioni e manager, focalizzato sulla centralità della persona.
Una centralità che oggi, di fronte alle sfide della transizione 4.0, vogliamo ribadire e promuovere a ogni livello – da quello delle politiche sindacali a quello della condivisione delle competenze professionali – tenendo presente che potremo delegare alle macchine sempre più compiti e trasferire loro tutte le conoscenze che abbiamo senza tuttavia cedergli l’arbitrio che ci caratterizza.
*Massimo Fiaschi è Segretario Generale di Manageritalia