Si è scritto qualche settimana fa, al primo insorgere di indagini maligne, che gli elettori del Pd pretenderebbero dai loro dirigenti politici non tanto la certificazione di una supremazia morale – nonostante questo sia il tentativo del partito – quanto più semplicemente la sicurezza ch’essi siano più onesti degli altri. Senza introdurre elementi di psicologia applicata, essere più onesti degli altri non significa affatto averne vocazione, né tanto meno umana attitudine, come invece i comunisti di un tempo volevano farci credere, quanto banalmente disporre di una tecnicalità di comportamenti e di una professionalità applicata alla morale, che sfociano direttamente nella gestione “pulita” della cosa pubblica.
Insomma niente a che vedere con chissà quale eroismo moderno, piuttosto la serena valutazione di un modo tutto sommato persino utilitaristico di vivere e di interpretare la politica moderna al tempo delle cricche. Onesti, ma senza morale: missione impossibile?
Che qualcuno sbagli nel Partito Democratico è parte inevitabile del calcolo delle probabilità e indignarsi per i fatti in sé è un esercizio stilistico certamente non evitabile ma poco costruttivo. Ciò che dovrebbe invece muovere la sensibilità dei cittadini è il dopo-notizia, sarebbe a dire quell’insieme di meccanismi politici che si mettono in moto all’interno del partito nei giorni successivi all’apertura di un’indagine giudiziaria per fatti corruttivi, di fronte ai quali è utile attendere che la giustizia faccia il suo corso.
Che cosa si può chiedere con nettezza al Partito Democratico? Che ci faccia capire come la pensa, che al di là delle stanchissime dichiarazioni di rito che si richiamano a quella bolsa divinità che è diventato l’attuale garantismo, si esprima almeno con parole di senso compiuto, senza balbettare, senza scorciatoie, senza quei paraculissimi ombrellini protettivi che sono diventate le bacheche di Facebook, dove passano spiccioli di moralità, sarebbe più opportuno dire moralismi, messaggi a nuora perché suocera intenda, insomma una falsa idea di confronto.
Mark Zuckerberg non avrebbe potuto nemmeno immaginare, all’inizio della sua avventura, le trasformazioni a cui sarebbe stata sottoposta la sua creatura, strapazzata, manipolata a uso e consumi di personalissime rese dei conti, ora sentimentali, ora addirittura politiche! Se c’è stata un’accusa (anche fondata) a Facebook è che ha ridotto sensibilmente la nostra socialità, illudendoci di moltiplicarla, ci ha privati del piacere fisico e intellettuale della conoscenza, dell’elemento tattile, di quei faccia a faccia definitivi che magari ponevano fine ai rapporti.
Ebbene, di questa debolezza della conoscenza, oggi il Pd ne fa invece la sua forza. Prendiamo il caso Penati: i dirigenti milanesi e nazionali non lo hanno convocato in sede per un faccia a faccia aspro, leale, diretto, magari anche tormentato, alla fine del quale però uscire da una stanza con una convinzione umana, dopo aver ascoltato le sue parole, visto i suoi sguardi, percepito i suoi respiri. No. Ciò che hanno fatto è stato mandargli messaggini trasversali via Facebook, chiedendo al posto dell’amicizia “un passo indietro”, naturalmente per il suo bene.
Ma che pena! Parlatevi, guardatevi negli occhi se ne avete il coraggio, abbiate la decenza di trasferire nei luoghi deputati al confronto le vostre legittime perplessità. In questo modo, darete anche un’idea di dignità complessiva, di persone, di dirigenti che non vogliono eludere i problemi e la loro complessità, ma che intendono risolverli con la profondità dei rapporti umani.
È utile, in questi casi, il richiamo della memoria. Proprio per evitare un confronto che sarebbe stato duro, molto duro, e che avrebbe probabilmente portato a ulteriori strappi all’interno del Pd, Walter Veltroni, da candidato premier, non ebbe il coraggio di chiedere apertamente a un Bassolino nella bufera un dignitosissimo passo indietro. Nella storia di questo partito, quanti conti in sospeso rimangono aperti?
Ps. Naturalmente, ai protagonisti dei casi giudiziari non si può chiedere ciò che noi vorremmo. L’ancora senatore Tedesco dovrebbe spiegarci, ma anche no, come mai chiede pubblicamente per sé l’arresto e poi, salvato dai miracoli della politica, rimane saldamente inchiavardato allo scranno. E il gentile Penati, perchè fa un passo indietro, ma solo da vice presidente del Consiglio regionale a consigliere, ma poi non da consigliere regionale a niente.