Ora Berlusconi non trascini con sé anche l’Italia

Ora Berlusconi non trascini con sé anche l’Italia

La notte del berlusconismo è sempre più cupa. La sentenza sul lodo Mondadori si abbatte sulla crisi italiana con la pesantezza del colpo finale, o quasi. Il premier che da anni teme l’escalation giudiziaria e che di questa si era fatto anche scudo per chiedere solidarietà alla sua gente, per la prima volta si trova di fronte a una sentenza che è un missile a più gittate.

In primo luogo lo colpisce nel patrimonio. Finivest è in grado di reggere l’urto economico del risarcimento ma non c’è dubbio che subisce un gravissimo danno economico che influenzerà la vita della holding. In secondo luogo il premier vede svanire d’un colpo tutte le manovre di questi anni, compreso l’ultima goffa e fuori tempo di qualche giorno fa, tese a chiamarsi fuori dall’ipoteca giudiziaria. Alla fine della fiera sta scoprendo che nessun legge ad personam lo ha tutelato da questo improvviso colpo di grazia.

Infine c’è la damnatio memoriae con il passato che torna a presentare i suoi conti con una decisione che riporta allo scontro delle origini con Carlo De Benedetti che ha attraversato tutti questi due decenni sancendo, infine, la vittoria dell’editore del gruppo “Repubblica-l’Espresso”. Quelli che hanno pensato che la discesa in campo del Cavaliere era stata immaginata a tutela della sua potenza economica scopriranno che alla fine della stagione è stato tutto inutile. Come nel gioco dell’oca si torna alla casella iniziale.

La sentenza sul Lodo Mondadori cambia la scena della politica. Berlusconi è a questo punto di fronte a uno di quei momenti topici della sua recente carriera. Il colpo alle sue aziende lo coglie nel momento della massima difficoltà elettorale, della crisi strutturale della sua area politica, nel pieno di una doppia tempesta, quella giudiziaria che riguarda a tappeto quasi tutti i suoi uomini, compreso l’inviso Tremonti, e soprattutto quella finanziaria che guarda ai conti dello Stato.

Per il mondo della finanza oggi Berlusconi è ben più che un’anatra zoppa. È un leader in evidente affanno, condannato con una sentenza di valore economico che ne deturpa l’immagine, privo di paracadute. Può asserragliarsi nel suo campo e chiamare alla riscossa ma il terreno che gli offre il Lodo Mondadori è il più ostico anche di fronte al suo mondo. Può accelerare il processo del ricambio al vertice cercando di chiamarsi fuori con maggiore velocità di quanto abbia previsto nel tentativo di metter in salvo patrimonio e rispettabilità tornando a fare l’imprenditore a tempo pieno. Può fare anche schiocchezze, come è già accaduto nel passato.

La sua psicologia gli suggerirà la reazione dell’assediato. Cioè fortificare le difese e tentare incursioni in campo aperto. Nel passato è riuscito in questa tattica perché aveva un blocco elettorale fedele, un partito disciplinato e alleati privi di prospettiva. Oggi ha un elettorato che si è messo alla ricerca di altre strade, un partito allo sfascio, la Lega, unico alleato, in grave crisi di identità. Vista dal lato del paese, la sentenza Mondadori accentua la sensazione che i tempi politici si vanno restringendo in modo vertiginoso. Era dai primi anni Novanta che non si aveva una sensazione così netta di caduta di leadership proprio nel momento in cui l’economia e il paese reale hanno bisogno di una guida sicura. Il problema non è se e come Berlusconi pagherà l’indennizzo a De Benedetti, ma se è ancora in grado di rappresentare il punto di riferimento principale della politica italiana nel suo punto apicale, la presidenza del Consiglio.

Finora siamo stati immersi in una specie di “caos calmo”, da queste ore in poi siamo invece nel centro di un terremoto politico che può avere sviluppi imprevedibili. In Occidente il premier condannato pagherebbe e annuncerebbe il ritiro. Non si può, ripeto, ignorare che il contenuto del responso sia enorme economicamente e imbarazzante nei suoi rivolti politico-morali. La crisi in cui è immersa l’immagine di Tremonti toglie di mezzo ogni soluzione transitoria che faccia perno su di lui. Il bivio è stretto e prevede che il premier resti al suo posto in un crescendo di manifestazioni di impotenza e di tentazioni di avventura oppure che lasci il campo a un governo che porti alle elezioni. L’Italia di oggi non ha più uno scudo politico di fronte ai mercati. È una situazione che non può durare a lungo. Ci sono momenti in cui il buon medico di famiglia rinuncia alle cure tradizionali, ignora i placebo e lascia il campo al chirurgo. Nel nostro caso il chirurgo è l’elettore. 

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