Gli Indignados del Cile urlano “basta” all’università privata

Gli Indignados del Cile urlano “basta” all'università privata

Una manifestante durante gli scontri con la polizia a Santiago (Afp)

Era il 5 agosto 2010 quando i riflettori si accesero sulla spina dorsale del lato Pacifico dell’America Latina: in Cile trentatrè minatori erano rimasti intrappolati a seicento metri sotto terra, nel deserto dell’Atacama, miniera di San Josè. Il mondo intero con il fiato sospeso attese quei sessantanove giorni necessari per riportarli tutti alla luce del sole. Ad un anno di distanza le condizioni di vita di quegli operai dell’ “oltretomba” non sono migliorate, la maggior parte di loro è senza lavoro, e continua a pagare i traumi fisici e psicologici della discesa negli inferi della terra. Ma è qualcos’altro oggi, più delle sorti dei minatori, che disturba il sonno del presidente Sebastian Piñera.

Da tre mesi infatti gli studenti cileni hanno dato vita ad una mobilitazione permanente, che vede l’adesione anche delle classi medie. Incuranti del freddo e del gelo (in Cile è pieno inverno) i giovani occupano edifici e strade reclamando a gran voce il diritto all’istruzione per tutti. Erano in centomila, ieri, a sfilare nelle strade della capitale Santiago. Non sono mancati momenti di tensione e scontri con le forze dell’ordine, che han fatto ricorso a getti d’acqua e a gas lacrimogeni per dispendere i manifestanti. Ma non è certo con l’uso della forza che il premier cileno riuscirà a riportare la stabilità nel suo paese.

Capitanati da Camila Vallejo, ventitré anni, leader della Federazione degli studenti universitari diventata già un’eroina nazionale, i giovani chiedono più risorse alle università pubbliche, puntano il dito contro un sistema educativo che risale ai tempi di Pinochet, dicono basta al principio del lucro e del profitto che rende le università delle vere macchine per far soldi. In Cile un anno accademico nelle università statali costa più o meno come in Italia, dai duemila ai cinquemila euro, peccato però che il reddito medio di un cileno non superi i trecento cinquanta euro al mese.
 


Camila ha 23 anni e fa tremare il “Berlusconi del Cile”

 


Gli indignados di tutto il mondo che riempiono le piazze

 

Un corso di laurea completo si aggira tra i trenta e i quarantamila euro. Tre quarti degli studenti si indebita per pagare le rette degli istituti universitari, stimate al doppio dello stipendio di un operaio. Pochi privilegiati riescono ad usufruire di prestiti vantaggiosi al tasso del 2% mentre, la stragrande maggioranza dei giovani è costretta a ricorrere a mutui di oltre dieci anni con tassi al 7%, mettendo così un’ipoteca sul loro futuro e sui quel titolo che troppo spesso rimane un pezzo di carta inutilizzato, perché la forbice tra offerta e domanda è ampia. Molti studenti si rifugiano nei paesi vicini, Argentina in primis, per poter completare la loro carriera universitaria, ritrovandosi in una condizione di esiliati, un’etichetta che pesa come un macigno.

Il Cile, pur non essendo coinvolto oggi in nessun conflitto bellico, investe nelle spese militari il 3,5% del Pil, contro lo 0,84% destinato all’istruzione pubblica. La debolezza degli investimenti in questo settore è rimasta invariata dai tempi di Pinochet, sebbene negli ultimi vent’anni il numero degli universitari cileni sia più che raddoppiato, passando dal 15 al 40% dei giovani al di sotto dei 25 anni. Il paese di Piñera vanta, infatti, uno tra i più alti livelli di scolarizzazione del Sud America (con percentuali che toccano il 91% per la scuola secondaria, ed il 52% per l’università) e si conferma, malgrado tutto, uno tra i più qualitativi del continente.

Avevano iniziato con le proteste plateali gli studenti, erano in ottantamila a sfilare nelle strade della capitale Santiago a maggio. Poi si è passato a forme alternative, come quando, a inizio luglio, centinaia di coppie si sono incontrate in piazza ed hanno iniziato a baciarsi, chiedendo “un confronto meno violento e più amore”. Ma non è bastato. Son sopraggiunte così anche rivendicazioni estreme: trentotto studenti sono entrati alla terza settimana di sciopero della fame.

Giovedì scorso gli scontri con la polizia sono sfociati in episodi di cruda guerriglia urbana. Pesante il bilancio a fine giornata: 874 studenti arrestati, 90 agenti feriti. Il presidente conservatore ha cercato di sedare gli animi rimuovendo vari ministri, una timida mossa che non gli è servita a contrastare il calo di popolarità (al 26%): ieri sera la gente è scesa in strada dando vita ad un “cacerolazo”, una forma di protesta che consiste nel fare rumore usando pentole e altri utensili da cucina. Ideata durante la dittatura di Pinochet, non veniva più usata dagli anni Novanta.