Haiti piegata dal colera, il sospetto è che l’abbia portato l’Onu

Haiti piegata dal colera, il sospetto è che l’abbia portato l’Onu

PORT AU PRINCE – Non bastava la “fama” del paese più povero delle Americhe. Non bastava esser stato vittima, il 12 Gennaio 2010 del terzo terremoto più catastrofico della storia. Non bastava aver registrato un numero di vittime (250 mila) superiore persino allo tsunami del 2004. Perché Haiti, ad oggi, vanta un altro triste primato: è lo stato con il più alto allarme colera al mondo.

Con oltre 450 mila persone affette, il 5% della popolazione, l’epidemia del colera sta mettendo ko una nazione già allo stremo delle forze, facendo sì che la lotta alla sopravvivenza assuma, giorno dopo giorno, dimensione titaniche. Le scarsissime condizioni igieniche in cui versano la maggior parte degli haitiani, unite alla mancata prevenzione e al fatto che la gran parte dell’acqua utilizzata non è purificata, hanno provocato il diffondersi mortale del morbo.

Vita quotidiana a Port Au Prince

Il primo caso della comparsa della malattia infettiva, il cui bacillo si trasmette attraverso alimenti e bevande contaminate, si è registrato dieci mesi dopo il sisma nel dipartimento dell’Artibonite, a nord della capitale Port au Prince. Era il 19 Ottobre 2010. Il batterio, come avrebbero dimostrato diversi studi, si sarebbe propagandato all’interno della base nepalese della missione dell’Onu Minustah (Missione di Stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti). In Nepal il colera è endemico e da alcune indagini scientifiche sarebbe emerso come il ceppo identificato ad Haiti proverrebbe proprio dal sud dell’Asia.

La scorsa settimana, in occasione dell’anniversario dalla comparsa del colera nel paese, settecento haitiani sono scesi in piazza per protestare contro la missione dei caschi blu, il cui mandato è stato prorogato per un altro anno dal Consiglio di Sicurezza il 14 ottobre scorso. Le Nazioni Unite non hanno riconosciuto la responsabilità diretta dei propri militari: l’inchiesta portata avanti dal Palazzo di Vetro ha concluso che l’epidemia sarebbe dovuta ad una combinazione di fattori, tra cui le cattive condizioni in materia di accesso all’acqua e di igiene e l’assenza di immunità della popolazione haitiana al batterio. «Le condizioni sanitarie al campo della Minustaf – si legge nell’inchiesta dell’Onu – non erano sufficienti per evitare la contaminazione del fiume Meye, affluente dell’Artibonite».

Lo slum di Cité Soleil, il più grande di Haiti

Intanto, negli ultimi dodici mesi, quasi 6.600 persone sono morte a causa di colera, 1.732 solo nella capitale Port au Prince, secondo i dati forniti dal Ministero della salute pubblica, aggiornati al 9 Ottobre scorso.
Anche se l’epidemia ha toccato il suo apice nel mese di febbraio, oggi la situazione continua a destare forte preoccupazione, considerata la carenza cronica di acqua potabile e le terribili condizioni igieniche in cui vivono la maggior parte degli haitiani.

La portavoce dell’Ufficio di coordinamento degli affari umanitari in Haiti (Ocha), Emmanuelle Schneider, ha fatto sapere che in molti dipartimenti inclusi il Sud, il Nord, Nippes e l’area di Port au Prince, continuano a registrarsi casi di contagio. “Questo è dovuto – ha detto la portavoce dell’Ocha – alle piogge abbondanti che in questo periodo cadono nel paese”. “Basti pensare – ha sottolineato la Schneider – che a seguito delle precipitazioni dal 7 all’11 Ottobre, nel Sud il numero dei casi è raddoppiato”.

Il colera è una malattia facilmente curabile ma, senza i supporti sanitari adeguati, può diventare fatale, portando alla morte per disidratazione anche nel giro di 24 ore.

A Fond De Blanc, a quattro ore di macchina da Port au Prince

Lo sa bene Padre Rick Frechette, sacerdote e medico in prima linea, direttore di N.p.h. Haiti (rappresentato in Italia dalla Fondazione Francesca Rava), che da venticinque anni opera nel paese più nero delle Americhe: «Per far fronte all’emergenza lo scorso novembre abbiamo allestito l’ospedale da campo Santa Filomena, a Tabarre che, in poche settimane, è arrivato a contenere 130 posti letto. Oltre settemila i pazienti curati, molti dei quali erano affetti anche da altre malattie come tubercolosi, la malaria, il tifo o l’HIV. Il colera – spiega Padre Rick – da epidemico è ormai diventato endemico, ed è per questo che abbiamo costruito una struttura permanente con 180 posti letto, in grado di offrire assistenza multipla nel medio e lungo periodo».

Basterebbero semplici accorgimenti, come lavare continuamente le mani e bere acqua potabile, per prevenire la diffusione della malattia, ma ad Haiti, dove la gente vive nell’immondizia e pezzi di lamiere arroventati vengono definiti case, niente è semplice. «Ci sono pochissimi depuratori – spiega il medico sacerdote – l’accesso all’acqua pulita non è garantito a tutti e l’acqua, così come il cibo, è molto cara: un sacco di riso da venti chili costa più di venti dollari, sono pochi gli haitiani che possono permetterselo. La fame rimane l’allarme più grande da fronteggiare».

A Wharf Jeremy, quartiere discarica della capitale haitiana, il colera è piombato il 7 Novembre scorso, causando sette morti in un solo giorno. Adesso l’emergenza è conclusa, ma la situazione resta precaria, come spiega Suor Marcella, missionaria italiana che porta avanti un poliambulatorio nello slum: «Ogni giorno si registrano tre-quattro casi di persone infette, dobbiamo mantenere alta l’attenzione», ha dichiarato la religiosa, che lancia un nuovo allarme: «Nell’ultimo anno siamo riusciti ad acquistare cinque camion di acqua al giorno (trenta mila litri ndr.) per dissetare la popolazione, ma ora che i fondi sono finiti, come faremo ad andare avanti?» 

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