Chi si incammina per Milano 2 ha una certezza: ritrova sempre tutto. Ci sono ancora, a distanza di 40 anni, le «dolci montuosità» di cui parlava Natalia Aspesi nell’opuscolo pubblicitario Una città per vivere, realizzato nel 1976, e le «ordinate indicazioni stradali». Ci sono ancora i «bambini che giocano» nel verde, «i ragazzi in bicicletta, le persone che passeggiano». Gli specchi d’acqua, il Lago dei Cigni, i prati. Le strade ribassate per separare pedoni e automobili e consentire, come ripetono tutti, di «potersi muovere, in teoria, senza mai attraversare una strada». A Milano 2, nonostante l’età, tutto si mantiene perfetto, razionalizzato, come una volta: le case con i porticati, i negozi, i giardini, i tanti alberi, le siepi. Lontano da Milano e – per un attimo sembra – lontano dal tempo. Ma è solo un’illusione: «Siamo tutti invecchiati», dice una signora, residente da anni. E tutti annuiscono. Milano 2 è sempre uguale, ma non è più come un tempo.
Secondo il progetto dell’epoca, doveva essere la città del futuro. Fatta di 32 palazzoni “di pregio”, costruiti dal ’72 al ’79 e disposti lungo una striscia di terra a “T” che collega la moschea di Segrate («Mai avuto problemi con quella», dicono tutti, tranne forse una questione di parcheggi «il venerdì, quando vengono a pregare», poi risolta) all’ospedale San Raffaele, che sorge nella ormai famigerata via Olgettina. In mezzo, il quartier generale di Berlusconi, composto dagli uffici di Mediaset e di Publitalia.
Per l’ex Cavaliere Milano 2 era, sempre stando al suo opuscolo stampato ai tempi in cui cercava di venderne gli appartamenti, un «esempio significativo di insediamento residenziale» che, oltre che «autosufficiente, diventa utile e vitale anche per i quartieri vicini». Come al solito, esagerava. Ma alcune cose sono vere.
La possibilità di un’isola
«È un posto per chi cerca tranquillità», spiega una ragazza, che serve al bar Delicious. Il «milanoduese doc, che vive qui da quando è stata costruita, è una persona che si trova bene in mezzo alla natura, contento di stare lontano dagli stress della città». E sottovoce aggiunge, quasi fosse un segreto: «è il tipo di persona che ha la puzza sotto il naso». I residenti, spiega, sono persone benestanti, o ricche. Gli appartamenti costano e la selezione è quasi naturale. «All’inizio», prosegue, «erano famiglie tutte della stessa età e dello stesso ceto». Era facile che diventassero amici, anche se «facevano spese folli, sempre in gara a chi era più ricco». La maggior parte lavorava a Milano e rientrava la sera. Le donne «stavano a casa, facevano la spesa, badavano ai bambini» che, in ogni caso, «erano liberi di andare dove volevano senza pensieri». Era, come spiega un vecchio ufficiale di marina, anche lui al bar, «il sogno di un’isola felice».
«Da bambini qui è bellissimo. Sei libero, puoi giocare e andare a scuola da solo, senza farti accompagnare»
Con Milano 2 veniva sbandierata l’utopia di un piccolo mondo separato dalla città. Una cittadella per ricchi, con tutti i confort, sicura e tranquilla. Architetture (quasi) uguali, colori uniformi, strade e ponticelli ripetuti a oltranza, fontane e laghetti. Ogni edificio ha il suo nome, poetico e botanico (“i cedri”), in un’atmosfera che ricorda tanto un resort turistico di lusso.
Qui tutto gira intorno a due punti focali: la chiesa e lo Sporting Club. La prima, non prevista nel progetto, è stata costruita negli anni ’80 su iniziativa di don Ruggero, che andò casa per casa a chiedere i fondi necessari ai residenti. Prima «ci ritrovavamo a far messa in un appartamento, e poi in una palestra», racconta Paolo, padre di famiglia cresciuto a Milano 2, uscito e poi tornato con la nuova famiglia. Vicino alla Chiesa c’è un’aula per lo studio, l’ex sede della biblioteca e alcuni campi sportivi. Quello da calcio è intitolato a Raimondo Vianello.
L’altro punto di incontro è lo Sporting Club, a due passi da Mediaset. Gli iscritti – «non è economico», sottolinea Paolo – hanno diritto all’uso di tutte le strutture di Milano 2 (palestre, saune, campi da calcio, da tennis, basket, piscine e via). Si organizzano incontri, feste, cene e presentazioni di libri, donazioni per enti benefici. Qui i residenti, in teoria, socializzano, «ma solo se si conoscono già», spiega L., che nell’aula studio vicino alla Chiesa prepara l’esame da magistrato.
Anche lei, come Paolo, è nata e cresciuta a Milano 2 e conferma: «Quando si è bambini è bellissimo. Giocavo tanto, andavo a scuola da sola, senza che i miei mi accompagnassero». Si sentiva libera, «anche se sempre dentro a una sfera isolata». I bambini giocano ancora, nel verde, e sotto la rassicurante protezione dei vigilantes. L’unica forma di microcriminalità, del resto, «sono i furti negli appartamenti», come conferma Marco, della sorveglianza.
La carta e il territorio
«Qui le regole sono rigidissime. Non si possono nemmeno tenere i tavolini fuori dal bar»
Quando si cresce, continua L., le cose cambiano. Milano 2, con le sue telecamere, il verde e la tranquillità, rivela uno dei suoi volti peggiori: la noia. «La sera non c’è niente da fare». Il ristorante dello Sporting, per capirsi, chiude alle 22:30. Non ci sono teatri, cinema, musei, bar. Non parliamo delle discoteche. A detta di tutti, «chi vuole divertirsi deve andare a Milano». La vita è altrove. Ma Milano, che pure è vicina tanto da avere (quasi) lo stesso nome, si raggiunge senza problemi sono in auto. Altrimenti serve un bus, che a una certa ora non passa più, e poi una metropolitana. Chi non vuole avventurarsi ha poca scelta. «C’era l’idea di creare un’area per lo svago, nella zona del Lago dei Cigni», racconta l’ex ufficiale di Marina. «Ma non è stato fatto nulla». Quella doveva essere «una piazza», ma «qui non si chiacchiera nemmeno con i vicini, i rapporti si mantengono formali», continua. «Peggio che a Genova». Soprattutto per chi, come lui, si è trasferito in tarda età. Alcuni allora si rassegnano e stanno a casa, altri vanno a passare il tempo all’Esselunga, di fronte alla cascina Ovi e alla nuova biblioteca, come in una qualsiasi periferia. Sopra di loro, nel frattempo, scorre il traffico continuo degli aerei che passano per Linate. Nonostante tutte le operazioni messe in campo da Berlusconi per modificarne le rotte, fino a costrurire un ospedale apposta, il San Raffaele, il rumore resta costante e forte, ma «ci si abitua», assicurano.
Dal punto di vista organizzativo, Milano 2 è strutturata su due livelli. Il primo è quello del condominio, dove abitano le famiglie, e che fa riferimento all’amministratore di condominio. Il secondo è quello del Supercondominio, una sorta di consiglio in cui si ritrovano tutti i 32 amministratori di condominio. Qui si prendono le decisioni che riguardano le aree comuni, cioè le spese per la vigilanza e quelle per i giardinieri. Si stilano anche le norme che regolano i comportamenti da tenere. «Sono rigidissime» spiegano. «Ad esempio, non si possono mettere le sedie fuori, perché creerebbe troppo disordine», spiegano ancora al bar Delicious. I divieti sono tanti. In alcune aree non si può calpestare l’erba, in altre non si possono portare i cani. E con tutto questo verde, si capisce anche.
Ma la rigidità, insieme alle telecamere, rischia di diventare una forma mentis. «Lo ho visto quando il mio ex ha deciso di partecipare al campionato di calcio del quartiere», continua L. «Le squadre sono composte tutte di residenti, con una quota di tre “stranieri” al massimo». Lui «viveva qui, con me. Poteva essere in quota “residenti”, ma lo doveva dimostrare, e gli hanno chiesto ogni genere di documenti, prove, immagini, dimostrazioni. Non bastava la mia parola e il fatto». Tutto per un torneo di calcio.
Sottomissione
Il punto è che l’isola felice è, prima di tutto, un’isola, con i propri regolamenti, autonoma e, in certi casi, autogestita. Autosufficiente, come scriveva Berlusconi. Ad esempio, «per rifare l’asfalto delle strade, quello rossastro, i soldi sono stati messi tutti dai contribuenti», spiegano in biblioteca. «Il Comune si occupa solo via Fratelli Cervi, che scorre sul lato ovest del quartiere». Sotto questo aspetto, Milano 2 è quasi una regione a statuto autonomo, una sorta di Trentino: va da sola, ricca e separata. Per capirsi, a parte all’hotel NH qui nessuno parla di Expo.
«Anche qui, adesso ci sono persone in grave difficoltà». Poi si corregge: «in difficoltà»
L’isola felice, poi, è sempre meno felice. Sembrerà strano, ma nonostante l’ansia di ripararsi dal mondo, la crisi è arrivata anche qui. All’inizio era negata, come la peste del Manzoni, poi solo sussurrata. Ora se ne parla, ma senza panico. In ogni caso, si vede. I negozi, le boutique che adornavano i portici, «sono stati dimezzati», anche per colpa dell’arrivo «della grande distribuzione», spiega Paolo. I supermercati sono subito diventati un’alternativa preferibile, anche per i prezzi. «Le poche botteghe singole che restano qui le chiamiamo, con affetto, le “gioiellerie”», scherza l’ex ufficiale, e i «prezzi che fanno sono ancora quelli di “una volta”», quando tutti, appunto, facevano a gara a spendere più degli altri. Intanto entrambe le due edicole sono chiuse, e i giornali si comprano al bar. «Per quattro Corrieri che vendo, ci sono sei Giornali. Libero più o meno uguale. E poi tantissimi Fogli». Repubblica? «Solo due copie, per le insegnanti».
Ma le cose non vanno male solo ai negozianti. Come spiega allo Sporting un signore che si definisce solo come «un dipendente», per colpa della difficile situazione economica adesso a Milano 2 «ci sono persone in grave difficoltà». Poi si corregge: «in difficoltà». Molti sono imprenditori, e per questo colpiti in modo diretto dalla crisi. Le iscrizioni, ad esempio, sono calate. Alcuni scelgono di acquistare solo alcuni programmi (solo palestra, o solo palestra e piscina) e non più il pacchetto completo. «Stanno molto attenti, molto più attenti che in passato». La popolazione si divide in due categorie: «quelli che sono stati colpiti, e quelli che hanno paura di essere colpiti». Addirittura. «Non c’è più ottimismo, no». Anche se rimane ancora «la speranza», e tutto sommato è ancora una bella differenza rispetto al mondo “di fuori”, «anche se si tratta di affidarsi ai politici». In questo senso, non è una sorpresa scoprire che Milano 2, patria delle aziende di Berlusconi, sia un fortino del centrodestra. «A volte arriva a percentuali bulgare come il 75%», ride Paolo.
Infine, l’isola felice sente anche il peso dell’età. Non si tratta solo della popolazione, sempre più anziana, ma anche di strutture: gli edifici appartengono a un’altra epoca. Le classi energetiche si sono evolute, il riscaldamento è ancora centralizzato, molto va ristrutturato. Addirittura, si parla di «decadenza», anche perchè il mercato, assicura Paolo, «è molto calato rispetto a dieci anni fa. Chi vende deve faticare di più a trovare i compratori». E sono sempre più diffuse insegne di “affittasi” e “vendesi”. Per strada, i cartelli, quasi come un vezzo, continuano a mostrare soluzioni grafiche di una volta e sono ingialliti. La verità è che, come dice la signora, «siamo invecchiati tutti».
Milano 2, insomma, è il futuro di quarant’anni fa. Il paradiso perduto di una cittadella chiusa in una campagna che, nel frattempo è diventata città. Il tempo è passato ma, come il suo fondatore, finge di non riconoscerlo. L’idea resta sempre uguale: una città verde, tranquilla, noiosa e finta come un villaggio vacanze, o come il set di uno spettacolo televisivo. Dove le cose brutte della vita, finché si può, si tengono lontane, o si finge che lo siano. Massimo Fini scriveva che «un funerale a Milano 2 avrebbe un che di blasfemo», di felliniano. Per questo non si facevano cortei. Non si sbagliava, ma le cose sono cambiate anche lì. Un funerale c’è stato, quello di Raimondo Vianello. Ed è stato trasmesso in televisione.