Che l’avvento di Internet nei primi anni ’90 abbia portato con sé una ventata d’aria fresca nel mondo della comunicazione è cosa risaputa. Ma quello che forse in pochi sanno è che il web non è solo uno straordinario strumento di comunicazione. Ha anche cambiato fortemente la realtà della figura dell’artista musicale e, di conseguenza, del proprio fandom o fan club.
Con un po’ di destrezza informatica, seguendo gli indizi giusti e con uno spirito di curiosità accademica, con la velocità di un clic ben piazzato quello che si para davanti a ogni utente di Google è, senza esagerare, una miriade di gruppi organizzati con dedizione a nome di questo o quel personaggio pubblico.
All’inizio con incredulità, si entra in una serie di microcosmi (sì, i fanclub sono veri e propri microcosmi) in cui regnano regole e gerarchie ben precise. Si scorrono pagine e pagine di informazioni, di merchandising, di proposte allettanti a modiche cifre di pagamento.
Per evitare di perdere la retta via ci siamo dedicati solo al mondo della musica, ma anche qui le organizzazioni che si nascondono nei meandri della rete globale non si contano. Da Ligabue a Gianna Nannini, dai Rolling Stones a Vasco Rossi, chi a pagamento chi gratuito, chi su Twitter chi sul motore di ricerca, chi più difficile da scovare chi invece è più sicuro di sé e si crea il suo piccolo dominio a cielo aperto.
Da un lato ci sono in fan club, con cifra di iscrizione e quota annuale. Dall’altro ci sono i fandom, che vogliono portare al massimo l’esperienza di essere fan, «nel modo più coinvolgente e più divertente possibile»
Marco Morini, 36 anni e fondatore di Teamworld, piattaforma indipendente dedicata alle star più in voga di momento in momento, sia in Italia sia a livello internazionale, si è dimostrato disponibile a chiarire qualche dubbio. «Innanzitutto distinguiamo due gruppi. Da una parte ci sono i fan club, dall’altra i fandom. I fan club sono esattamente quello che dicono, cioè club. Nella maggior parte dei casi bisogna pagare una cifra d’iscrizione per farne parte e una cifra annuale per continuare a essere iscritti. Di norma sono gestiti da parenti o amici del personaggio pubblico a cui è dedicato il fan club, persone di cui la star di turno si fida. Sono i fan club “ufficiali” o “autorizzati”».
Come funziona? «Essere iscritti e la quota da pagare offrono agevolazioni, oltre che a immetterti in un contesto dove puoi condividere il tuo interesse con tante altre persone. Parliamo, ad esempio, di una maglietta “di benvenuto” in regalo, la possibilità di assistere alle prove dei concerti e di acquistare in anticipo i biglietti».
Un’organizzazione dedicata ed esclusiva. Di solito, un fan club su internet offre accesso a un forum ufficiale nel fan club, presenta una breve biografia dell’artista, ricorda le date dei concerti, il numero dei partecipanti. Ma chi vuole saperne di più – ecco che gli abili metodi di sponsorizzazione fanno il loro gioco – scatta subito il banner: “Vuoi iscriverti? Con quale metodo di pagamento vuoi procedere?”.
Strano: i “microcosmi” visitati prima non avevano restrizioni, erano al contrario fieri del loro piccolo grande dominio informatico. «Esatto. Questa è la seconda tipologia – spiega Marco – quella di cui ci occupiamo noi: il fandom. Sempre accomunate di partenza da una passione specifica (nei confronti di un gruppo, un autore, un artista), queste persone si definiscono più amiche che fan. Amiche tra di loro e con il personaggio che, di norma, dà il nome al fandom (vedi le giovani e numerosissime “directioners”, fan della boyband anglo-irlandese One Direction, che hanno ormai assunto il controllo di Twitter). Teamworld si rivolge a loro perché non parliamo di un fan club, ma di una realtà che si gestisce in modo relativamente autonomo. Vogliamo far vivere loro l’esperienza dell’essere fan nel modo più coinvolgente e divertente possibile».
Insomma, è un contesto in cui avviene quella che possiamo definire una socializzazione mediatica – Twitter, Tumblr e Facebook sembrano essere le piattaforme più gettonate dei fandom, mentre i fan club si tengono nei confini di un proprio sito riservato.
Nel rapporto artista-fan le cose sono cambiate. C’è un immediato “like” cosa appagante per il/la cantante. Il problema è che il mezzo – accessibile a tutti – ha allargato la concorrenza
Sorge spontaneo domandare se questo modo di relazionarsi con la celebrità sia rivolto esclusivamente a una specifica fascia d’età (per intendersi: è una cosa per giovanissimi?). «Assolutamente no. Tutto dipende dalla capacità dell’artista di sponsorizzarsi e di interagire con il fan. I Linkin Park, gruppo statunitense, sono forse la band con il fan club meglio organizzato e il fandom più numeroso, e la fascia d’età gira attorno ai 30 anni. Anno più, anno meno».
Dalla pagina facebook del fandom dedicato agli One Direction
Dal forum Morandimania, luogo di incontro e discussione degli appassionati del cantante italiano
Esistono fan club anche di artisti che sono rivolti alle generazioni meno abituate al sound alternativo che oggi invade i canali televisivi (ne è un esempio MTV), radio (es. Rds) e Internet (ovunque). Un esempio per tutti è Gianni Morandi. Oppure Ligabue, che convince tutti.
Sia il fan club sia il fandom si basano indiscutibilmente sul mondo virtuale di Internet. Che impatto ha questo nel rapporto artista-fan? «Ci sono dei lati positivi e negativi per entrambi. Per l’artista è molto più facile sponsorizzarsi e comunicare in modo diretto con il fan. C’è un immediato “like” e questo, oltre che a essere senza dubbio appagante per il/la cantante, è anche un grafico continuo, segnala se in quel momento sta seguendo una strategia corretta o meno. Il problema, però, è che il mezzo – accessibile a tutti – ha allargato la concorrenza. Se prima ci si doveva affidare a un produttore e convincerlo di essere un buon investimento, ora ognuno ha un mezzo straordinario per farsi pubblicità artigianale. Questo rende le cose più difficili. In più, l’andamento ad esempio della singola canzone (il “singolo”) può creare fenomeni di successo di breve durata, perché si può benissimo sparire nel giro di un brano, che sia andato bene o meno. È molto più facile di prima essere rimpiazzati».
Per il fan, invece, le cose sono diverse. Prima, poter far parte della vita dell’“idolo” era solo un sogno. Ora il fan può ricevere informazioni sugli spostamenti, sui gossip, sui “rumors” in tempo reale. Grazie ai social network, non ci sono più segreti: sapere cosa ha mangiato, dove e con chi, oppure dove compra i vestiti, qual è il suo parrucchiere e, a fine giornata, qual è stato il suo itinerario, sono informazioni alla portata di tutti. Soprattutto, alla portata dei fan. «Per il fan è più facile entrare in una dinamica in cui ci si relaziona con altri fan, si scoprono nuovi interessi, si stringono nuove amicizie. Le piattaforme online consentono di scrivere direttamente al personaggio pubblico. Queste agevolazioni possono però creare dipendenza, quindi è bene che si stia attenti a non trasferire la nostra quotidianità dentro ad uno schermo».
«Oggi proponiamo quattro tipologie di campi estivi, che vanno da quello originario dedicato alla musica (e agli One Direction) a uno “motivazionale”, per poi passare al mare e alla montagna. Utilizziamo come punto di partenza un interesse già consolidato per costruire un percorso d’apprendimento»
Non c’è il rischio che il fanclub inchiodi il fan alla sedia, di fronte al computer? Che assorba la sua esistenza in un mondo virtuale? «Teamworld cerca di far uscire la persona dalle quattro mura di casa e dal social network. Di farle fare esperienze partendo dalla loro passione e con persone che cercano la stessa cosa. Vogliamo far vivere al meglio e nel modo più salutare possibile questa esperienza dell’essere fan. Io stesso so cosa vuol dire essere fan di qualcuno e quanto possa essere una bella esperienza. Fin tanto che i social network creano dei legami tra le persona va bene, ma non vogliamo che, negli anni, quando la persona guarderà indietro a questo periodo si penta di aver sprecato troppo tempo davanti ad un computer. La nostra ultima iniziativa è quella dei camp».
Cioè? «Nel gennaio del 2013 una ragazzina di 13/14 anni ci scrisse su Twitter “Marco, perché non fate qualcosa come Camp Rock [film della Disney Channel prodotto nel 2008 con protagonisti la cantante Demi Lovato e Joe Jonas, componente della boyband Jonas Brothers, nda], una vacanza con la musica?” Da lì è nata l’idea. Oggi proponiamo quattro tipologie di campi estivi, che vanno da quello originario dedicato alla musica (e agli One Direction) a uno “motivazionale”, per poi passare al mare e alla montagna. Utilizziamo come punto di partenza un interesse già consolidato per costruire un percorso d’apprendimento e, soprattutto, di socializzazione. Sul tema del cantante preferito, proponiamo delle lezioni di musica e di inglese. In base ai posti preferiti delle celebrità, visitiamo una città. Oltre a essere divertente, porta il fan in una dimensione esterna al computer».
Sembra che il fandom abbia tutte le risposte che servano, e che riesca a creare una famiglia virtuale perfetta. Ma questo, che è il suo pregio, rischia anche di essere il suo pericolo peggiore. Il mondo dei fan è il mondo della passione, e la passione, prima o poi, bisogna imparare a tenerla a bada.
*Stagista del Liceo Classico Parini di Milano