Destra e sinistra? Ora il duello è tra istituzioni e vaffanculo

Ai lati, la “rivoluzione della gente perbene” di Salvini e il "populismo patrimoniale“ di Grillo. In mezzo Renzi, nel difficile ruolo del candidato istituzionale. Il primo banco di prova di questo inedito scontro a tre, le amministrative 2016

Renzi e Grillo sono comparsi sulla scena politica, con modalità di scalata differenti, presentandosi come due risposte diverse a una stessa domanda d’insoddisfazione dell’elettorato. Di fronte a una classe dirigente fallimentare, che ha bruciato anni migliori e occasioni irripetibili, abbiamo cominciato a chiederci quale potesse essere l’opzione politica migliore. Da un lato il populismo civico e istituzionale del segretario del Pd (attenzione: usiamo la parola “populismo”, peraltro in senso avalutativo, ma sarebbe più corretto parlare, per dirla con il politologo Marco Tarchi, di “stile populista”); dall’altro il populismo tout court del M5S. Il primo governa, il secondo si accontenta dell’opposizione, quasi che governare fosse uno stigma di corruzione morale.

Quando si voterà – un giorno dovremo pur farlo – questo scontro si ripeterà; Renzi offrirà i suoi presunti risultati di governo, Grillo i presunti risultati come principale oppositore. Ci sarà però un ulteriore livello di scontro, che abbiamo intravisto domenica alla manifestazione del centrodestra a Bologna, a completamento di un superamento politico: le nuove linee di frattura post-ideologiche al posto di quelle fra destra e sinistra, come la tensione fra popolo - la gggente - e l’élite, di qualunque tipo, sia essa romana o di Bruxelles.

Le nuove linee di frattura post-ideologiche non sono più quelle fra destra e sinistra, ma la tensione fra popolo – la gggente – e l’élite, di qualunque tipo, sia essa romana o di Bruxelles.

Quella che poteva sembrare una sfida riservata a Renzi e Grillo sul taglio degli sprechi, sulla lotta alla casta, sugli scontrini, è destinata ad allargarsi. Matteo Salvini, leader in pectore di un centrodestra alla ricerca di un’identità ancora poco chiara, offre la sua retorica, iper gentista, della “rivoluzione della gente perbene”, che poi è da sempre il ritornello di Grillo e delle sue piazze che gridano “onestà, onestà, onestà”. Con la differenza che il perbenismo ha un’accezione morale che trasuda ipocrisia; vengono in mente le solite interviste ai vicini sul dirimpettaio che “sembrava tanto una brava persona”.

La strategia della tensione di Salvini sull’immigrazione, in un Paese in cui l’invasione non c’è, non regge più (dal primo gennaio 2014 al 27 ottobre 2014 sono sbarcati 153.745 migranti; nello stesso periodo del 2015 gli sbarchi sono stati 139.770). E la Lega, compreso il suo capo, di questo ha bisogno per crescere: di un’emergenza, vera o presunta, che sia quella della corruzione negli anni Novanta o dello sbarco migratorio che sembrava dovesse essere, nella narrazione salviniana, una roba solo italiana e invece è una questione europea.

Matteo Salvini, leader in pectore di un centrodestra alla ricerca di un’identità ancora poco chiara, offre la sua retorica, iper gentista, della “rivoluzione della gente perbene”, che poi è da sempre il ritornello di Grillo e delle sue piazze che gridano “onestà, onestà, onestà”

Come hanno spiegato Salvatore Borghese e Andrea Piazza di YouTrend, numeri alla mano, sul Fatto Quotidiano di martedì 10 novembre, «le fortune della Lega sembrano collegate alla rilevanza data nel dibattito pubblico a temi sui quali il partito ha una posizione netta». Con la nuova leadership, «C’è stata una crescita importante nelle intenzioni di voto alla Lega, ma in numeri assoluti non sarebbe troppo distante dai massimi storici». La crescita, comunque, è dovuta alla campagna martellante di Salvini sui migranti: «La fiducia in Salvini è salita dal 10% di maggio 2014 al 20% di ottobre, per poi toccare il 27% nel periodo invernale e infine attestarsi al 23%. Una parte di questo apprezzamento personale si è tradotto in un’intenzione di voto anche per il partito».

Risultato, la Lega è cresciuta, ma non basta. A Salvini serve qualcosa di veramente maggioritario, ma ripercorrere l’irripetibile strada di Berlusconi è impossibile. E il vaffanculo oltre a essere liberatorio può essere maggioritario. Alla fine il rischio è che i prossimi mesi siano uno scontro permanente e pervasivo fra populisti su casta, scontrini, sprechi, in cui il dibattito pubblico è ridotto ai conti in tasca. Quello che il politologo francese Dominique Reynie chiama “populismo patrimoniale” e che Tarchi ha descritto così, in un editoriale pubblicato sulla sua rivista Diorama: «Quello che Reynie definisce il “populismo patrimoniale” si schiera, su un duplice e convergente registro, a difesa del livello di vita e dello stile di vita di strati sociali che vedono l’uno e l’altro minacciati o già compromessi dagli effetti della globalizzazione, dell’immigrazione di massa, delle politiche neoliberiste». Anche Renzi ci dovrà fare i conti. L’antipasto sono le amministrative del 2016. Anche lì il duello sarà fra l’Istituzione e il Vaffanculo.

twitter @davidallegranti