Nascere fenomeni nel posto sbagliato

La storia di sette calciatori talentuosi, ma appartenenti a Paesi calcisticamente poco fortunati: da Weah a Litmanen, passando per Dwight Yorke

Nemo propheta in patria. A meno di nascere in un paese di brocchi. In quel caso sei profeta, messia e promessa di riscatto dopo decenni di umiliazioni. In quel caso i tuoi compatrioti ti perdoneranno qualsiasi cosa, almeno all’inizio. Nel frattempo avrai accettato la fascia di capitano, dichiarato il tuo attaccamento alla maglia, chiarito che la squadra ha poca esperienza ma sta crescendo, e in realtà pensavi “madonna, che scarsi”, con l’allenatore e un paese intero ai tuoi piedi. I primi insuccessi, poi altri, altri ancora, il primo disastroso mondiale, per alcuni neanche quello .“Ci rifaremo all’Europeo”, o in Coppa America, d’Africa. I primi compagni che si ammutinano, i procuratori che storcono il naso, “ma chi te lo fa fare?”, l’allenatore opportunista che ti dà la colpa e i tuoi concittadini che cominciano a cambiare idea, dandoti del mercenario che si tiene il meglio per il club. Anche se da vecchi ti ricorderanno con nostalgia e magari ti voteranno se decidi di candidarti alle elezioni. La conferenza stampa in cui annunci l’addio alla nazionale, “ho dato tutto, alla mia età devo fare delle scelte anche dolorose”. Difficile destino quello dei fiori sbocciati nel deserto, profeti molto acrobati, certi che la felicità sia altrove. Come dimostrano almeno sette storie degli ultimi vent’anni.

Come Ryan Giggs, ufficiale dell’ordine dell’impero britannico. Un impero dalle strane regole, che concede alle sue sotto-entità una propria rappresentativa nazionale. Ryan, che ha pure un nonno della Sierra Leone, ha scelto da subito di giocare col Galles. E poco importano i 24 anni di carriera al Manchester United, gli oltre trenta trofei, le caterve di gol, gli elogi e la correttezza esemplare (mai un cartellino rosso, mai una sbavatura), se poi in nazionale i tuoi compagni sono così scarsi. Meglio evitare le amichevoli, tanto il risultato è scontato: mai un mondiale, un’olimpiade o neanche un europeo. Quando, con l’assegnazione delle Olimpiadi 2012 a Londra, si decide di riesumare un’improbabile nazionale britannica, Ryan si aggrega alla comitiva, onoratissima di averlo. Da fuoriquota segna un gol (è il più vecchio marcatore olimpico di sempre) ma il risultato, nonostante le attese, è un disastro: la Gran Bretagna esce agli ottavi con la Corea del Sud. Proprio non era destino.

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