Iggy Pop è tornato, e legge Houellebecq in un docufilm superbo

In uno dei momenti più bui della sua vita Michel Houellebecq scrisse un breve, cubo e bellissimo saggio sulla poesia e sull’essere poeti. Ora Iggy Pop decanta il suo “Restare vivi – Un metodo” in un imperdibile docufilm

Da non credere. La vita, per quelli a cui non gira storta, può avere dei percorsi mirabolanti. Può capitare, per esempio, di essere un disperato chiuso in una casetta, a Parigi, che sogna il successo letterario, che però è ben lungi dall’arrivare. Mettiamo che costui, contro ogni ragionevolezza, invece che rivedere le sue aspirazioni, o cominciare a lavorare su qualcosa di più easy, decida di scrivere un testo in cui indicare agli aspiranti poeti come sopravvivere all’incubo di morire miserabili e dimenticati. No, non è fantasia. Questa è, in buona misura, la storia del più folle tra gli scrittori europei del momento, l’inconfondibile Michel Houellebecq. In quel tempo, il nostro amatissimo non era ancora l’autore di Le Particelle Elementari, o Estensione del dominio della lotta. Non aveva proprio mai scritto un romanzo. Giusto un saggio su Lovecraft, mirabile ma di scarso impatto sulle masse, e qualche bella poesia, anch’essa circolata presso un ristrettissimo pubblico. In sostanza, era ancora un fallito, o, se preferite, un impiegatuccio qualsiasi. Il suo umore era a terra – non che successivamente sia migliorato, rassicuratevi. Fu allora che il giovane Michel, che ancora non sembrava un sopravvissuto al campo di sterminio dell’alcolismo, decise di scrivere Restare Vivi – Un metodo. Poche pagine, appena una decina. Eppure, si tratta di uno dei più bei saggi sulla poesia e sull’essere poeti che sia mai stato scritto in questo infelice universo occidentale. Houellebecq dà fondo alle sue risorse, tira fuori il sangue e le viscere. Il dolore è totale, così accecante da divenire poeticissimo, di una lucidità impressionante. Il testo si risolve in un superlativo compendio esistenziale con finalità precettistiche. Inizia dicendo che “L’universo urla […] Il mondo è una sofferenza dispiegata. Alla sua origine c’è un nodo di sofferenza […] Tutte le cose soffrono, finché esistono. Il nulla vibra di dolore, fino a giungere all’essere: in un abietto parossismo”. Niente di nuovo per chi è cresciuto a pane e canti di Leopardi. Ciò non toglie, comunque, che anche qui la potenza contenutistica e stilistica sia furiosa e devastante. Il tutto prosegue, poi, con dei consigli al poeta su come trasformare la propria sofferenza in arte. Houellebecq, bieco e più realista del re, non trascura di guardare anche alla dimensione meno nobile del fare poesia e si pone la domanda: come fare a campare delle poche righe che si scrivono? Non per altro, ma perché “Un poeta morto non scrive più. Di qui l’importanza di restare vivi”. La soluzione è semplice, quanto spregiudicata: “I meccanismi di solidarietà sociale (sussidio di disoccupazione, ecc.) dovranno essere utilizzati a pieno, come pure il sostegno finanziario di amici più abbienti. Non sviluppare un senso di colpa eccessivo al riguardo. Il poeta è un parassita sacro”. Inutile precisare che, con sé stesso, questo metodo è risultato palesemente vincente.

La cosa più sorprendente è che oggi, a distanza di qualche decennio, il testo sia divenutoanche un film documentario. Il titolo, Restare vivi – Un metodo, rimane invariato, con l’aggiunta di una simpatica didascalia che recita: “Un film sulla sofferenza che vi farà stare bene”. Il paradosso è solo apparente: già Leopardi aveva messo in chiaro che la sofferenza, trasmutatasi in arte, si rende maggiormente tollerabile e addirittura gradevole.

La pellicola vede come voce narrante – una voce unica e perfetta – la canaglia rockettara per eccellenza, Iggy Pop. L’autore di The Passengers recita in modo ineccepibile e immensamente partecipativo il testo di Houellebecq.

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