Ok, adesso voltiamo pagina, per favore. Perché la zuffa fra chi beatifica i social e chi li demonizza, fra chi non ha occhi che per la loro eclatante novità innovativa e chi non fa che accusarli di qualunque disfunzione e nefandezza, è diventata ormai troppo statica e stucchevole per non metterla nello specchietto retrovisore. Personalmente credo che i social siano una risorsa senza precedenti nella storia umana: mai prima d’ora centinaia di milioni di esseri umani avevano avuto la possibilità di raccontarsi e condividere, e una tale opportunità è cento volte più grande di tutti gli innegabili effetti collaterali (da che mondo è mondo, in ogni grande evoluzione noi conquistiamo qualcosa perdendo qualcosa). Ma anche io che non perdo occasione per cantare le lodi di Facebook e Instagram credo che sia arrivato il momento di fare un salto avanti superando lo status quo con i suoi banali schieramenti ideologici.
La domanda che oggi dobbiamo farci non è se i social siano buoni o cattivi: la domanda – urgente, decisiva – che dobbiamo farci è come adesso i social possono evolvere. Come esplorare nuove possibilità e orizzonti, come porre rimedio a derive piuttosto pericolose, come tentare di evidenziare e promuovere le componenti più energetiche e costruttive dei social abbassando il tono di quelle più preoccupanti, delle fake news, di chi spinge sul pedale dell’odio. Non ho personalmente la più pallida idea di come tutto questo possa essere risolto attraverso algoritmi (l’importante è che lo sappia Mark Zuckerberg, che si sta rivelando molto sensibile all’evoluzione e ai problemi della sua creatura). Quello che a me sembra decisivo è uno sforzo per mettere a fuoco i margini di miglioramento e di crescita: in questo senso, i social come oggi li conosciamo e pratichiamo vanno considerati come un modello in divenire, semplicemente il primo passo di un processo evolutivo.
Continua a leggere su Centodieci