La formula fu semplice, efficace. Il 6 agosto del 1999 esce in sala Il sesto senso. Nessuno ci scommette. Ha ragione l’articolista del “Guardian”: “Per gli studios, agosto è il mese in cui seppellisci i cadaveri. I blockbuster escono a maggio, giugno, luglio, hanno ormai finito il loro giro… i film d’agosto, per spettatori ancora attratti dall’aria condizionata delle sale cinematografiche, sono, tendenzialmente, errori, giochi d’azzardo, esercizi di equilibrismo avvolti nell’incertezza”. L’azzardo, questa volta, fu azzeccato.
Il sesto senso, in termini assoluti, non è un bel film, M. Night Shyamalan non è un grande regista – il suo film più riuscito resta il claustrofobico The Village. Ma a volte per fare la storia del cinema non è necessario un bel film né un grande regista. Ci vuole l’idea giusta al momento giusto.
Bruce Willis veniva da film d’azione: The Jackal, Armageddon, Attacco al potere. In Codice Mercury dà mostra di una certa affinità con i bambini. L’idea di farne uno psicologo in cappotto e cravatta, pacato, dedito a esumare i mostri nella psiche dei bambini, è riuscita.
Il bambino, Haley Joel Osment, con quel viso di una intensità oltremondana: sarà protagonista anche nel film di Steven Spielberg, due anni dopo, A.I. Intelligenza Artificiale. In ogni caso, il talento di essere ‘altro’.