Nuove elezioni “Attenzione alla rabbia degli elettori: la Spagna rischia di nuovo lo stallo”

La questione catalana, la probabile recessione, la Brexit: il prossimo governo di Madrid avrà diversi nodi da sciogliere. Ma il vero campo minato saranno le inevitabili riforme politiche che dovrà affrontare

PIERRE-PHILIPPE MARCOU/AFP

Differenze di mentalità. Dopo le elezioni di aprile gli analisti politici spagnoli definirono il Parlamento di Madrid, frammentato dalla presenza di più partiti, molto “italiano”. Subito dopo però ammisero che mancava nei politici iberici la nostra “mentalità”, la capacità cioè di formare alleanze dopo il voto per andare al governo. Un governo di coalizione non si è mai visto a Madrid in oltre 40 anni di democrazia, fondata su bipartitismo e alternanza. E probabilmente dovrà aspettare ancora, almeno fino alle prossime elezioni previste per il 10 novembre. La vittoria in primavera di Pedro Sanchez e dei socialisti sembrava poter aprire la strada a un possibile governo di sinistra con Podemos e alcune forze regionaliste. Non è stato così. Veti, ostacoli e promesse irrealizzabili hanno ostacolato la formazione di un esecutivo che sembrava quasi naturale dopo il voto del 28 aprile. Ma, si sa, in politica non c’è nulla di scontato.

Come in passato anche stavolta la Catalogna segnerà l’autunno della Spagna, che promette di essere molto caldo

Cinque mesi non sono bastati per trovare un accordo. I tentativi prima tra socialisti e Podemos, forza di sinistra guidata da Pablo Iglesias, e poi tra socialisti e Ciudadanos, forza centrista-liberal capitanata da Albert Rivera, si sono rivelati alla prova dei fatti impossibili da raggiungere. Troppo grandi le differenze in materia economica e sociale. Ma soprattutto troppo marcate le differenze sulla questione catalana tra chi vuole perdonare gli imputati e chi chiede invece pene asprissime. A inizio ottobre infatti dovrebbe giungere la sentenza per i 12 catalani accusati di ribellione dal governo per il referendum sulla secessione del 2017, stroncato da Madrid. Gli imputati rischiano fino a 30 anni di carcere ma, al di là del giudizio finale, comunque finirà il processo il risultato sarà molto contestato. Se saranno le destre, come Vox, o gli indipendentisti poco importa. Come in passato anche stavolta la Catalogna segnerà l’autunno della Spagna, che promette di essere molto caldo.

«Le elezioni di aprile e le trattative infruttuose tra PSOE e Podemos hanno mostrato come manchi in Spagna una cultura politica coalizionale. Un problema in più in vista del 10 novembre», spiega Elena Marisol Brandolini, analista dello Iai, Istituto affari internazionali. Uno stallo che difatti ha lasciato irrisolti i problemi del Paese. «Oltre alla questione catalana, che inevitabilmente si riproporrà, c’è la questione economica che terrà banco. I primi segnali che arrivano fanno pensare a una probabile recessione, con una crescita che sarà inferiore alle aspettative e i consumi che rallenteranno. E poi un governo forte permetterebbe di varare una nuova legge di bilancio che superi quella varata da Rajoy nel 2018, ancora in proroga». E poi c’è la questione Brexit, rilevante per la Spagna che ospita la più ampia percentuale di Inglesi in Europa. Un governo stabile con una guida sicura alla Moncloa aiuterebbe non poco. Quattro elezioni in 4 anni hanno inevitabilmente mostrato la difficoltà dei partiti politici tradizionali e dei loro leader. C’è chi ha deciso di lasciare, come Mariano Rajoy uscito dal suo partito e tornato a fare il notaio nella sua Galizia, chi invece ha perso e ha deciso di rilanciare come Pedro Sanchez. Il leader del PSOE «ha mostrato notevoli capacità di rischio e ha vinto tutte le sfide. È stato capace di perdere, tornare tra la gente e ritornare al potere più forte di prima. Le prossime elezioni potrebbero decidere il suo futuro».

C’è un enorme problema di rappresentanza istituzionale in Spagna: la maggior parte dei cittadini delle Comunità autonome si pone contro la monarchia e l’attuale sistema politico che li rappresenta

Tuttavia il caos legato alla Catalogna pone inevitabilmente un altro problema: quello delle autonomie. «Il caso catalano pone come inevitabile parlare prima o poi del grande problema legato all’assetto istituzionale. C’è un enorme problema di rappresentanza istituzionale in Spagna: la maggior parte dei cittadini delle Comunità autonome si pone contro la monarchia e l’attuale sistema politico che li rappresenta. Non si può far finta di niente e non si può pensare di rispondere accentrando tutto quando in realtà i cittadini ti chiedono l’esatto contrario». Per questo le prossime elezioni saranno decisive. «C’ è un alto rischio di astensione, che potrebbe penalizzare soprattutto i partiti di sinistra. Ad aprile l’alta affluenza si ebbe per paura di un arrivo in massa delle destre e del partito di Santiago Abascal, Vox, che oggi però si teme meno. Probabile che si rafforzino i due partiti tradizionali, che però saranno ben lontani dalla maggioranza. Inevitabilmente però doranno fare i conti con gli elettori, che si sentono delusi, sfiduciati, arrabbiati. La partita è apertissima». Le urne di novembre diranno chi avrà avuto ragione.

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