Più che un film sul divorzio, sugli avvocati squali, sull’amore che inevitabilmente ancora c’è quando ci si separa, sulla peggiore versione di noi stessi, sulle corna, sulle nevrosi, sulle tenere abitudini (ah, quella scena quando lei gli allaccia la scarpa), più di tutto questo Marriage Story è soprattutto un film sull’annoso problema: New York o Los Angeles? Ancora meglio: chi è nato e cresciuto a New York potrà mai abituarsi a vivere a Los Angeles e viceversa?
In quest’ottica il film di riferimento non è Kramer contro Kramer quanto piuttosto Io e Annie. Il capolavoro di Woody Allen è una sequenza di battute sprezzanti sulla vita in California. Alvy Singer, ovvero Allen stesso, è il newyorkese nevrotico per eccellenza, uno che considera Los Angeles superficiale e indulgente nonché il simbolo del nulla così ben rappresentato dall’industria televisiva americana.
Quando Annie Hall ovvero Diane Keaton ammirando il paesaggio di Los Angeles sospira un «ah è così pulito qui», Allen risponde: «È perché non gettano via la spazzatura: la trasformano in programmi televisivi». Prima ancora, quando i due sono a New York e Annie cerca di convincere Alvy ad andare con lei sulla West Coast per tentare la carriera di cantante, lui risponde: «Non voglio trasferirmi in una città in cui l’unico vantaggio culturale è poter a svoltare a destra con il semaforo è rosso».
C’è una scena di Io e Annie che provoca sempre sonore risate nei cinema newyorkesi e solo in quelli. È quella di quando Alvy viene portato in giro per le stradine di Beverly Hills e in sottofondo c’è la musica natalizia. Ad un certo punto la macchina passa davanti a una villetta che ha sul prato di fronte un Babbo Natale a grandezza naturale su una slitta trainata da due renne. Ecco, nei cinema di New York a questa scena la gente ride, ma ride di gusto, perché evidentemente per loro niente è più comico del Natale in calzoncini e 32 gradi. Le risate come simbolo di superiorità nell’unica occasione in cui New York è climaticamente preferibile a Los Angeles.
Il problema di dove stare tra New York e Los Angeles i veri ricchi l’hanno risolto a monte: una casa in entrambe le città. Gli hanno anche inventato un nome: si chiamano bicoastal people
In Marriage Story le risate sono assicurate da una specie di tormentone racchiuso nella frase «eh, ma a Los Angeles c’è più spazio». Lo dicono gli attori della compagnia mentre fanno le prove del nuovo spettacolo e commentano la rottura tra Charlie e Nicole. Lo dice l’assistente di Laura Dern durante il primo incontro tra Charlie e Nicole con i rispettivi avvocati. Lo ripete a Charlie Alan Alda, provocando la sua reazione. «Fuck the space! Fuck the space!», urla Adam Driver. Lo dice l’assistente sociale («and the space… ») che fa la visita di valutazione a Charlie e Henry nel nuovo appartamento pieno di piante. «Avere più spazio» è l’argomentazione principale che usano tutti quelli che vogliono convincere qualcuno, di solito il partner, a fare il salto di costa. Lo so perché la sto usando anche io con mio marito, nato e cresciuto nel Connecticut, sulla East Coast: al sesto inverno sotto la neve con temperature polari che durano fino ad aprile ho incominciato una azione di lobbying pesante per convincerlo a prendere almeno in considerazione l’idea.
Argomenti usati oltre il clima: lo spazio, appunto. Gli appartamenti di New York sono molto piccoli, non c’è spazio per la dispensa, bisogna fare la spesa praticamente tutti i giorni perché sono piccoli anche i frigoriferi, un secondo bagno è un lusso da straricchi e via dicendo. Mio marito, newyorkese da tredici anni, risponde con un altro grande classico: «Non voglio passare la mia vita bloccato nel traffico». Se gli stereotipi esistono perché in fondo dicono la verità, quelli sulle differenze tra newyorkesi e losangelini ancora di più, per cui i primi ancora pensano ai secondi come a dei vegetariani decerebrati che non camminano e passano la maggior parte del tempo in macchina («Se fossimo a New York cammineremmo», dice Charlie al figlio Henry la notte di Halloween quando, mascherati, vanno a fare treat or trick in macchina) mentre i secondi vedono i primi come dei pallidi nevrotici che se la tirano da intellettuali («Teatro? Niente che abbia visto?» chiede in tono beffardo a Charlie l’avvocato interpretato da Ray Liotta). Per non parlare del cibo: vegetariani in ristorantini macrobiotici («Ah mamma è vegetariana ora?», chiede Charlie quando il figlio Henry gli dice che da grande forse sarà vegetariano) contro mangiatori di bistecche in steakhouse vecchie di cento anni.
E non importa se negli ultimi dieci anni Los Angeles è diventata una capitale dell’arte da fare concorrenza alla Grande Mela, come scrive il New York Times in vari articoli tra cui l’ultimo, del marzo 2019 (il critico d’arte newyorkese mandato a risolvere il quesito se Los Angeles sia diventata il centro dell’arte contemporanea mondiale, scrive di volersi tenere lontano dagli stereotipi e dice: «Persino le battute sul traffico non hanno più senso ora che la metropolitana di New York si è trasformata in disfunzione cronica». Nota a me stessa: ricordarsi questa frase per la prossima discussione con mio marito).
Noah Baumbach regista di Marriage Story è newyorkese di nascita, crescita e stile cinematografico. La storia che racconta è la sua: nella realtà la moglie – qui interpretata da Scarlett Johansson – è Jennifer Jason Leigh, sua consorte dal 2003 al 2015. I due hanno un figlio maschio, Rohmer, nato nel 2010. Come Nicole, Jennifer viene da una famiglia di attori nata e cresciuta a West Hollywood. Nel film vuole trasferirsi a Los Angeles per fare la protagonista in una serie televisiva (ricordate la battuta di Woody Allen in Io e Annie? Ecco).
Qualcuno ha scritto che Marriage Story è la storia di una coppia di ricchi: errore. Non sono ricchi, sono classe media. Se fossero ricchi il problema di dove stare tra New York e Los Angeles neanche si presenterebbe. I veri ricchi l’hanno risolto a monte: una casa in entrambe le città. Gli hanno anche inventato un nome: si chiamano bicoastal people. E viaggiano rigorosamente in prima classe – il volo da New York a Los Angeles dura comunque sei ore, mica noccioline.
Per la cronaca: dopo il divorzio da Jennifer Jason, Leigh Baumbach dal 2013 è fidanzato con Greta Gerwig, anche lei californiana, candidata all’Oscar per la regia nel 2017 con Lady Bird. I due insieme hanno girato tre film – Greenberg, Mistress America e Frances Ha – e sono la coppia di riferimento del cinema newyorkese, i Woody e Mia di Brooklyn, al netto dei drammi. «Volevo raccontare entrambe le parti», ha detto al Los Angeles Times parlando della rivalità tra le due coste. Intanto però lui e Gerwig sei mesi fa hanno avuto un figlio, Harold, e guarda caso hanno deciso di farlo nascere a New York.