Se il mondo del vino può apparire agli occhi di chi lo guarda in modo un po’ distratto come piuttosto statico, sempre uguale a se stesso o quasi, si tratta invece di universo il cui tessuto produttivo è particolarmente rapido nel cambiare pelle per andare incontro alle esigenze di un mercato in costante evoluzione. Poche altre tipologie hanno per esempio conosciuto una diffusione tanto rapida come quella dei vini frizzanti negli ultimi anni. Vini che per molto tempo non solo sono stati trascurati ma anche considerati come per certi versi minori rispetto a quelli che stavano contribuendo, soprattutto durate gli anni 90, a disegnare la mappa dell’enologia italiana agli occhi del mondo. Non è un caso: da una parte c’erano i grandi spumanti a metodo classico di zone allora emergenti come la Franciacorta affiancati dal sempre crescente fenomeno dei vini prodotti in autoclave, dall’altra i frizzanti ancestrali, vini del quotidiano i cui residui della fermentazione in bottiglia spesso li rendono torbidi, in generale meno raffinati. Oggi non è più così: grazie alla loro caratteristiche, al prezzo come alla facilità di beva, e a una sensibilità del pubblico del tutto nuova hanno conosciuto un rinascimento produttivo impossibile da immaginare anche solo una decina di anni fa.
Che cosa sono i vini frizzanti
Sia i vini spumanti che i vini frizzanti si caratterizzano per l’effervescenza. A livello legislativo quella che fa la differenza è la pressione esercitata dall’anidride carbonica all’interno della bottiglia: mai inferiore ai 3 bar nel primo caso, mai superiore ai 2,5 bar nel secondo caso. Tra le conseguenze l’obbligo del cosiddetto tappo “a fungo” con relativa gabbietta di metallo per i primi, dei più semplici tappi “rasi” o “a corona” per i secondi. Si tratta di una differenza sostanziale, che determina non solo le caratteristiche del cosiddetto perlage, l’effervescenza, ma anche lo sviluppo aromatico del liquido all’interno della bottiglia.
Due (più una) le tecniche per ottenerla. La prima vede il vino all’interno di grandi cisterne a chiusura ermetica, le autoclavi, a cui viene aggiunta una certa quantità di zucchero e di lieviti per favorire una seconda fermentazione. Ne risultano in un periodo di tempo relativamente breve, pochi mesi, vini generalmente non molto costosi, tanto semplici quanto piacevoli, caratterizzati da una schiuma larga e spumosa. La stragrande maggioranza dei Prosecco viene prodotta con questa tecnica, chiamata metodo Martinotti o Charmat a seconda della paternità. L’altro, quello con cui vengono prodotti gli spumanti a metodo classico o champenois, come lo Champagne, vede il vino rifermentare direttamente all’interno della bottiglia con tempi di maturazione sensibilmente più lunghi, anche anni. Ne consegue, dopo una serie di procedimenti tra i quali la sboccatura e il dosaggio, un vino particolarmente raffinato, impeccabile nella veste, da sempre associato nell’immaginario collettivo alle ricorrenze più importanti.
I vini frizzanti ancestrali
Infine la terza via, quella dei vini frizzanti a fermentazione in bottiglia. I cosiddetti ancestrali, “sur lie”, “col fondo” o “pét-nat” (abbreviazione del francese pétillant naturel, frizzante naturale). Vini che rappresentano lo spartiacque tra i primi due, vini spesso casalinghi e sempre artigianali, la cui storia affonda in quella delle famiglie contadine: il freddo dell’inverno interrompeva le fermentazioni alcoliche lasciando nel vino un po’ di zucchero residuo. Con i primi caldi primaverili e dopo averlo imbottigliato questo rifermentava rendendolo frizzante e secco (ancora oggi alcuni sono prodotti in questo modo). Vini quotidiani nella migliore accezione del termine, capaci di un’articolazione e di una profondità irraggiungibili per quelli prodotti in autoclave, vini tanto immediati quanto in grado di stupire a distanza di molti anni.
Produzioni soprattutto molto attuali, la cui tecnica è stata spesso e a ragione identificata con la tradizione di molti importanti territori del vino italiani e a torto con il crescente movimento dei vini naturali. Molte le cantine che per assecondarne la richiesta hanno iniziato a produrre il loro frizzante con esiti spesso un po’ incerti: non tutte le uve e non tutti i terreni sono adatti a produrre “sur lie”, oltre al fatto che i più bravi produttori possono vantare un’esperienza decennale, a sua volta frutto di un percorso produttivo profondamente radicato nel territorio.
Le zone di produzione tradizionali
In Italia sono tre le zone che si possono immediatamente identificare con i vini frizzanti ancestrali. La Marca Trevigiana è la casa del Prosecco, quello che però tutti conosciamo (prodotto in autoclave) ha fatto la sua comparsa sul mercato in modo strutturato solo a partire dagli anni 60. Prima di allora tutti, proprio tutti, producevano per il consumo quotidiano il proprio “col fondo”, il proprio vino rifermentato in bottiglia fatto in casa, con le vigne di famiglia.
La zona di Modena è la casa del Lambrusco, vino/varietà che qui trova ha trovato casa e che si esprime attraverso ben tre denominazioni: il Lambrusco di Sorbara e il Salamino di Santa Corce, da vigne di pianura, e il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro dalle colline a sud della città. È però un po’ tutta l’Emilia a essere casa dei frizzanti ancestrali, ampio territorio che inizia con i Colli modenesi e che si conclude con quelli piacentini, dove da sempre era d’uso imbottigliare il vino prima dell’inverno per consumarlo, frizzante, a partire dall’estate. Infine l’Oltrepò Pavese, in Lombardia, zona perennemente inespressa in termini di coesione tra produttori ma capace di sorprendere con vini rossi frizzanti di assoluto valore.
Il problema è che se da una parte il mercato ha recepito con straordinario entusiasmo le tante etichette nate negli ultimi anni dall’altra riuscire a trovare oggi vini frizzanti ancestrali di qualità non è più facile di prima, anzi. All’aumento dell’offerta non è automaticamente corrisposto un aumento della qualità media. In tanti hanno iniziato a rifermentare quello che avevano a disposizione, un po’ in tutta Italia e alla rinfusa quando invece tra Veneto, Emilia e Lombardia la tradizione dei vini “sur lie” non è fenomeno estemporaneo ma profondamente radicato nel tessuto agricolo, non a caso è proprio in queste zone che si continuano a trovare i vini frizzanti più buoni, quelli più sfaccettati e longevi.