Resistenza enoica Tra acqua, vigne ed erbe aromatiche: il turismo lento della Venezia che verrà

Il nuovo vino fatto sull’isola di Mazzorbo, nel cuore della laguna veneziana, è un concentrato salino e profumato che celebra un ideale di bellezza e di nuovo turismo sostenibile, per la città dei canali e per chi qui ha creato il suo modello di artigianato

Foto di Giandomenico Frassi

La calma e il silenzio della laguna veneziana – antitetiche al caos della città adagiata sull’acqua – sono una costante, ma di sicuro quella di questi giorni lascia il segno nelle persone che qui vivono e lavorano e non ricordano un momento così tranquillo e così preoccupante. Ma per chi ha scelto consapevolmente di essere qui un imprenditore, è importante riuscire a cogliere l’attimo e a provare a reagire, nonostante tutto.

Matteo Bisol è un giovane e brillante vignaiolo, che prosegue la storia di famiglia con una visione completamente personale, lasciando i fasti e i numeri del Prosecco nel quale è stato immerso fin da piccolo e scegliendo una dimensione ridotta, di nicchia, centellinando sorsi di un territorio difficile e ostile, che lui ama perdutamente e conosce come le sue tasche.

È sull’isoletta di Mazzorbo che ha scelto di lavorare e di concentrare i suoi sforzi, ed è qui che ha costruito la sua nuova storia, fatta innanzitutto di visione e di coraggio, e di strategia il più possibile mediata dalla natura che lo sovrasta. Perché se normalmente è complesso fare vino, su un’isola della laguna veneta diventa eroico. A novembre un’inondazione ha coperto il vigneto, e poteva significare la fine di ogni velleità. Invece la vite ha vinto sull’acqua e in primavera è risorta, e quel vitigno autoctono che i Bisol hanno riscoperto proprio qui, ha ricominciato la sua progressione. Ma poi è arrivato il virus, e sembrava poter avere la meglio su questa piccola struttura ricettiva con camere, un ristorante stellato, e un’osteria, raggiungibile solo in barca e meta di un turismo lento e meditato. «Ma io ho voluto vederci un’opportunità: è il momento di ripensare al movimento turistico della città. Perché il turismo è un ottimo modo di sostenere le attività locali: senza il turismo, qui, avremmo perso le tradizioni del merletto, del vetro, gli squeri e tantissimi artigiani che sono in grado di ristrutturare queste meraviglie di palazzi che abbiamo. Solo grazie ai soldi dei turisti Venezia è così bella e ben tenuta. Ma se non viene controllato, il turismo può portare anche tante conseguenza negative. Questa città non è adatta ad ospitare un turismo di massa, e gli equilibri sono difficili da sostenere. Ma non possiamo eliminarlo, perché senza quello non riusciamo a sostenere le tradizioni: noi solo grazie al turismo siamo stati in grado di recuperare questo vitigno storico e restituirlo alla vita. Se Venezia scegliesse di dire che finora abbiamo sbagliato qualcosa e che da oggi si cambia, le cose andrebbero sicuramente meglio. Per esempio introducendo il numero massimo di turisti che può stare in città: non a pagamento, l’accesso dovrebbe essere gratuito ma limitato a un certo numero di persone che possono entrare ogni giorno, per poter garantire la sostenibilità della città. Ecco, spero che questo possa essere un momento di riflessione e di scelta di un modello diverso, per sostenere e rispettare una città che ha degli equilibri molto fragili.»

Foto di Giandomenico Frassi
Matteo Bisol nella foto di Giandomenico Frassi
Foto di Giandomenico Frassi

Perché se c’è una cosa che la natura ha insegnato a Matteo, è la pazienza e la capacità di adeguarsi ai cambiamenti improvvisi: «Noi produttori di vino siamo più abituati a prenderla con filosofia: la grandinata capita, e ce la prendiamo. Siamo preparati a lavorare un anno e a poter perdere tutto in un pomeriggio. Semplicemente, capita. Capitano le annate cattive, troppa pioggia, troppo caldo: la natura è fatta così. Adesso c’è il covid, sappiamo che è un momento di grossa difficoltà ma il mondo va avanti e noi dobbiamo guardare oltre. In fondo il nostro vigneto ha lanciato un messaggio di speranza: dopo essere stato sotto l’acqua alta si è risvegliato. È la natura che ti dà il coraggio di proseguire. E dopo qualche settimana di scoramento ci siamo rimessi a lavorare: ho avuto l’idea dei dining bond. Prenotando adesso per due pagava uno solo: e così siamo pieni fino a fine stagione. Momenti come questi richiedono idee che vadano fuori dal normale. Era inutile continuare a crogiolarsi nel dubbio: apriamo o no? ci sarà gente o no? Ci siamo voluti lanciare. Avremo il locale pieno, ci tireremo su il morale, il prossimo anno sarà migliore. Preferisco fare un anno pieno e guadagnare un po’ meno piuttosto che un locale vuoto e senza prospettive.»

E proprio con questa filosofia del fare, è anche il momento per lanciare un nuovo vino, il secondo che viene prodotto in queste piccole isolette che punteggiano una laguna dove la natura è imponente e sovrana. Prosegue Matteo: «Sono contento di presentare questo vino che nasce dall’esigenza di avere un fratellino minore di Venissa. Uno è poter rendere disponibile a un prezzo più basso un vino prodotto nella laguna di Venezia. Il nostro primo vino, Venissa, rimarrà un prodotto di riferimento per noi. Ma vogliamo che nei ristoranti di Venezia sempre più clienti possano bere un vino del territorio con il loro branzino o le loro canocchie, facendo un concentrato di laguna che permetta di sostenere la particolarità di questa zona.  Venissa rimarrà un prodotto per l’appassionato, mentre in nuovo Venusa può diventare un prodotto per far arrivare il nostro progetto di fare vino in queste isole a più persone possibili. Questo sarà anche il veicolo grazie al quale potremo continuare a piantare vigneti in laguna. Abbiamo già piantato un ettaro e mezzo l’anno scorso e altri tre ettari ci aspettano quest’anno. E poi speriamo di riuscire a fare finalmente la nostra cantina in terraferma, per avere una produzione leggermente più ampia, ma sempre di qualità. Inoltre, a livello stilistico, posso spingere di più su Venissa e farlo diventare ancora di più un vino eclettico, unico, irripetibile lasciando a Venusa le sue caratteristiche di vino molto focalizzato sul territorio ma più bevibile, meno complesso e più facilmente adatto ad accompagnarci durante un pasto.»

Che speriamo avvenga prestissimo, proprio nel ristorante a Mazzorbo, guidato con mano lieve e piatti ugualmente eclettici da una straordinaria giovane chef, Chiara Pavan.

Nel frattempo, per assaporare il complesso di profumi che si incontrano quando si sbarca sull’isoletta, un capolavoro di acqua e robe aromatiche, non resta che assaporare un Venusa: lo spediscono a casa in cartoni da 6. Per supportare un’idea di artigianato locale e di bellezza, da condividere sulle tavole speciali.

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