Le prochain arrêt est Bruxelles Schuman; De volgende halte is Brussel Schuman: è un annuncio fatto in due lingue, francese e fiammingo, quello che sentite appena prima di scendere dal treno che porta nel vero e proprio cuore dell’Unione Europea: il Berlaymont, palazzo della Commissione europea. Se ci arrivate in metro o in autobus, quell’annuncio lo sentirete ripetuto addirittura tre volte, ogni fermata. Non solo in francese e fiammingo, ma anche in inglese. Da queste parti è risaputo: il broken English, parlato in un numero imprecisato di accenti diversi, sostituisce a tutti gli effetti il tedesco, terza lingua ufficiale del Belgio di cui tutti – belgi non germanofoni compresi – fanno fatica a ricordarsi.
Come una mappa del tesoro, il palazzo a forma di croce di 55 metri di altezza suddivisi in 18 piani (di cui 4 sotterranei), segna nella mappa di Bruxelles il “Quartiere Europeo”, in Rue del la Loi/Wetstraat. Non a caso in “via della legge”, visto che la Commissione europea è la guardiana dei trattati europei.
Il palazzo non è dedicato ad Altiero Spinelli, Konrad Adenauer, Rober Schuman o Simone Veil, i nomi dei padri fondatori e delle madri fondatrici che indicano la maggior parte delle sale o dei palazzi delle istituzioni europee. E tra di loro non c’è nessun Signor Berlaymont. Dames de Berlaymont è infatti il nome del convento creato nel 1625 dalla contessa de Berlaymont, Marguerite. fino al 1963 ospitava il collegio femminile e si trovava proprio dove adesso si erge la sede principale della Commissione.
Ai tempi il luogo sembrò perfetto: sei anni dopo la nascita della Comunità economica europea i funzionari dei sei stati fondatori erano sempre più numerosi e per il momento erano stati distribuiti in una serie di palazzi intorno al Rond Point Schuman. Per evitare che la capitale della Cee fosse cambiata per la mancanza di uffici adeguati, il governo belga spostò il convento a Waterloo e costruì il palazzo sui 241.515 m² messi a disposizione.
I primi trent’anni della sede ufficiale della Commissione Europea sono stati complicati: solo 3500 funzionari dei 5000 previsti inizialmente trovarono effettivamente posto nell’edificio. I grandi uffici individuali, anziché condivisi, “rubavano” grandi porzioni di spazio, e gli auditorium costruiti nei sotterranei del Berlaymont rimasero praticamente inutilizzati, perché troppo cupi e per questo poco amati dai funzionari.
Un rapporto a uso interno pubblicato proprio in quegli anni descriveva così il risultato finale dei lavori: «in una parola, si può dire che se fosse stata la Commissione della CEE a guidare direttamente i lavori, l’edificio sarebbe stato costruito in tutt’altro modo».
La distribuzione degli spazi e la poca luce diventano quasi un’inezia se paragonati al problema che avrebbe reso inagibile il palazzo per quasi 15 anni. Come più o meno tutti i complessi edilizi costruiti negli anni ‘60 ogni cavo elettrico e parete fu rivestita in amianto. I dipendenti dell’epoca entrati negli uffici prima del completamento di tutti i lavori, raccontano di aver addirittura camminato sopra la polvere che si depositava un po’ ovunque.
Nel 1991 l’edificio fu evacuato dei suoi 3500 dipendenti dopo la denuncia di un funzionario affetto da un tumore polmonare con una forte presenza di amianto nel lobo asportato. Radere al suolo il palazzo era impossibile dato che le sue fondamenta erano ancorate alla rete stradale e metro della città. Per questo fu necessario rimuovere tutto l’amianto contenuto al suo interno, per poi mettere in moto la ricostruzione vera e propria, che si protrasse per ben 13 lunghi anni.
Tempi biblici del genere sono quasi inevitabili (ma non per questo più giustificabili) se si mettono insieme burocrazia dell’UE e soprattutto dello stato belga. Le tempistiche del Paese dalle tre lingue ufficiali, e dalla capitale suddivisa in 19 comuni autonomi fanno quasi rimpiangere l’Italia.
Basti pensare al suo imponente (e bellissimo, anche se nascosto da tutte quelle impalcature) palazzo di Giustizia, sottoposto a lavori di restauro dal 2003. È così che dopo anni di ritardi accumulati, battaglie legali e burocratiche, la sede della Commissione guadagnò il soprannome, più che azzeccato, di Berlaymonster.
I lavori di rinnovamento sono costati alla Commissione circa 500 milioni di euro: un euro a testa per ogni cittadino europeo. A questi si aggiungono i circa 50 milioni di euro spesi per acquistare l’edificio dallo stato belga, che la Commissione dovrà pagare in 27 anni. Una curiosità: del totale, 49,6 milioni di euro corrispondono al costo dell’edificio, e la cifra simbolica di 1 euro servirà per il terreno su cui poggia.
Il “nuovo” Berlaymont che ha visto la luce nel 2004, ha cercato di mettere una pietra sopra tutte le incongruenze del passato, cercando di renderlo meno monster e un po’ più “amico” anche per gli stessi eurocrati che lavorano al suo interno. Durante le giornate più grigie (più o meno tutte, qua a Bruxelles) le lamine che ricoprono le sue immense vetrate si posizionano in orizzontale per far filtrare più luce possibile, o almeno ci provano.
La versione 2.0 del Berlaymont ha l’80 per cento di spazi interni utilizzabili: un bel salto di qualità rispetto a prima, quando solo metà dell’edificio era effettivamente funzionale. Non è ancora abbastanza però per ospitare tutti i suoi dipendenti, che dai 3500 degli inizi, sono adesso più di 30.000 (gli abitanti di Fabriano, per dire) sparsi in più o meno 60 edifici.
Sopra i quattro piani di parcheggio per 1223 veicoli ci sono gli auditorium. Snobbati durante i primi trent’anni sono occupati ora dalla sala stampa che può ospitare fino a 290 giornalisti. Quaggiù l’annoso problema della mancanza di luce ancora non è stato superato. E come si potrebbe, senza finestre! Leggenda narra che più di un giornalista di lungo corso abbia perso temporaneamente l’uso della vista dopo averci lavorato troppo a lungo.
Non tutto il male viene per nuocere però: i suoi spazi angusti infatti permettono di sentire praticamente tutto quello che dicono i colleghi, e di realizzare così un pezzo di media qualità anche solo mettendo per iscritto quello che si sente.
Su iniziativa dell’allora commissario finlandese Erkki Liikanen responsabile dei negoziati per la nuova sede del Berlaymont sono state inserite due saune. I funzionari del commissario, i capi di gabinetto e i direttori generali hanno accesso alla sauna n. 1, mentre per tutti gli altri c’è la n. 2. Nei primi tempi la sauna creò un po’ di problemi perché per i funzionari del nord Europea era la normalità entrare nudi.
Ai piani immediatamente superiori ci si arriva usando alcuni dei 45 ascensori e 12 scale mobili del palazzo. Lì si trovano gli uffici di alcune delle 31 direzioni generali (per gli amici, DG) della Commissione, come la DG per le risorse umane e la sicurezza, una parte della DG per la comunicazione, il segretariato generale e il servizio legale. Al quinto piano c’è la TF50 la task force guidata dal capo negoziatore per la Brexit, Michel Barnier. Il nome ovviamente deriva dall’Articolo 50 del trattato sull’Unione che regola l’uscita di uno Stato membro.
Un grande ufficio all’ottavo piano è tutto per l’ex presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, un privilegio di cui non ha goduto il suo predecessore, José Manuel Barroso. Dal nono al dodicesimo ci sono gli uffici da 75 m² dei commissari con otto finestre. Per i loro funzionari gli uffici sono di circa 15 m² con sole due finestre. Più alto è il piano, più è di alto grado il commissario. Per esempio il commissario all’Economia Paolo Gentiloni si trova al decimo piano, mentre i vice presidenti della Commissione Margrethe Vestager e Frans Timmermans si trovano al dodicesimo.
Gli stessi giornalisti di prima, specialmente quelli che da più tempo hanno familiarità con i corridoi del Berlaymont, raccontano con nostalgia di quando ai tempi d’oro fosse molto più semplice intrufolarsi quassù in cerca di qualche soffiata o notizia in anteprima. Neanche il badge di cui sono provvisti tutti i funzionari è sufficiente per avere il via libera: devono proprio venirti a prendere, ovviamente dopo aver passato almeno due controlli di sicurezza.
Al piano numero 13 del Berlaymont non ci sono semplicemente l’ufficio del Presidente della Commissione e la sala riunioni in cui si incontrano tutti i commissari. Da qualche mese c’è anche il mini-appartamento (25 metri quadrati in tutto), fatto costruire apposta per Ursula Von Der Leyen in persona, che rimane qui ogni settimana, rigorosamente dal lunedì al giovedì, visto che il piano è dotato anche di una cucina.
Perché sprecare tempo prezioso quando si può abitare e lavorare nello stesso luogo? In un certo senso si può dire che VDL abbia addirittura anticipato i tempi in cui il telelavoro è diventato la regola! Nessun presidente prima di lei, era arrivato a tanto.
Anche perché diciamo la verità, il Berlaymont non riflette proprio ideale di comfort a cui associamo generalmente la parola casa. Sì, c’è un ristorante self-service da 760 posti che può offrire 2.000 pasti al giorno, c’è un bar con 418 coperti, un cinema, sei giardini interni distribuiti in due piani.
Ma a differenza delle sedi delle altre istituzioni, prime fra tutte quelle del Parlamento, la Commissione non si è ancora trasformata in una sorta di città nella città, provvista di qualsiasi servizio che può passarvi per la mente (mai sentito parlare della cappella aconfessionale del Parlamento Europeo?). Forse l’aspetto meno entusiasmante riguarda il quattordicesimo piano del Berlaymont, incendiatosi nel 2009. Purtroppo non ci sono stanze segrete o uffici dell’intelligence, ma solo delle banali strutture tecniche: cavi, fili, tavoli. Ma almeno non sono in amianto.