Quesiti linguisticiCosa hanno a che fare i “babbi” con i “babbei”? Risponde la Crusca

Non c’entrano i nomi delle città di Babele o Babilonia, ma molto dipende dalla cosiddetta “lallazione” dei bambini. Ecco la spiegazione dell’Accademia

(Pixabay)

Tratto dall’Accademia della Crusca

Da Torino ci chiedono se il termine babbo (o babba) per ‘stupido’, conosciuto e usato anche in Sicilia abbia rapporti con babbeo; dalla Sicilia e dalle Marche domandano quale sia il rapporto di babbo ‘stupido’ con babbo ‘padre’; infine da Padova si chiede se l’origine di babbeo possa avere un rapporto con “la confusione linguistica e l’incomprensione, associate alla vicenda di Babele”.


Risposta
Che una medesima base babb- veicoli due significati decisamente contrapposti, quello di babbo = ‘papà’ e quello di babbeo (e simili) = ‘stupido, sciocco’, non è casuale; però, si faccia attenzione: non è che dal significato di ‘papà’ si sia sviluppato quello di ‘stupido’ o da quello di ‘stupido’ si sia sviluppato quello di ‘papà’ (in effetti, si tratterebbe di passaggi semantici difficili da giustificare) – in realtà, siamo qui in presenza di due diverse traiettorie semantiche che hanno avuto origine da uno dei primi suoni che il bambino produce nella fase della lallazione.

La fase della lallazione (che dura fin verso il primo anno di età) è la fase in cui il bambino non parla ancora (non essendo in grado di farlo) ma lalla, ossia produce volontariamente delle sillabe costituite da un suono consonantico seguito da un suono vocalico: si tratta in fondo di un primo esercizio di produzione di suoni che al bambino serve per arrivare infine a parlare. Le prime sillabe che il bambino “lalla” sono ovviamente quelle più “facili” da articolare: di norma, quelle costituite da una consonante o labiale (come b, p, m) oppure dentale (come d, t, n) seguite dalla vocale a o da una vocale tendente ad a: di qui, sequenze come ba, ba-ba o ma, ma-ma o da, da-da o na, na-na…, ciò che, si badi, avviene per tutti i bambini del mondo e non solo per quelli d’Italia. Precisiamo che, in questa fase, le sillabe lallate non sono parole dotate di significato: sono in effetti, da parte del bambino, meri esercizi per fare pratica di fonetica; ma quelli che stanno intorno al bambino, a cominciare dai genitori, sono portati a “interpretare” le sillabe lallate, dando loro un significato: e così, la sequenza ma-ma viene di solito “interpretata” dai genitori come un tentativo del bambino di chiamare la ‘mamma’ (o anche la ‘mammella’); la sequenza ba-ba viene di norma interpretata come un tentativo del bambino di chiamare il ‘babbo’ cioè il ‘papà’ e così via.

Siccome poi, abbiamo detto, le prime sillabe che il bambino impara a lallare sono le stesse per tutti i bambini del mondo, ne viene che i nomi familiari o colloquiali per ‘mamma’ sono sorprendentemente simili in molte lingue (imparentate fra loro o non imparentate); e che lo stesso succede coi nomi per ‘babbo’ o ‘papà’. In effetti, facendo una rapida ricognizione (per altro facilmente ampliabile), troviamo che i nomi familiari per ‘mamma’ contengono una m seguita dalla vocale a o tendente ad a ad es. in italiano (mamma), francese (maman), inglese (mom o mamy), neogreco (mana), cinese (mama), in latino (nel quale mamma era la ‘nutrice’, cioè un surrogato della madre, o la ‘mammella’); mentre i nomi familiari per ‘babbo’ contengono una b (o anche una p) seguita dalla vocale a o tendente ad a ad es. in italiano (babbo; papà), neogreco (babás), arabo (bâbâ), cinese (baba), francese (papa), latino (pappa), neogreco (papás), oppure una d (o una t) seguita dalla vocale a o da una vocale tendente ad a, ad es. in inglese (dad) o in non pochi dialetti italiani (tata; si ricorderà il racconto mensile “L’infermiere di tata” nel Cuore di E. De Amicis) e così via.

Tornando ora (e riassumendo quanto detto fin qui) allo specifico dell’italiano babbo come modo familiare per chiamare il ‘padre’, possiamo dire che siamo alla presenza della “ufficializzazione” nella lingua vera e propria (in questo caso, l’italiano) della sillaba ba-ba lallata dal bambino, alla quale i genitori hanno “voluto” dare il senso di ‘papà’, e divenuta un nome a tutti gli effetti: di genere maschile (ovviamente, riferendosi al padre), di numero singolare (in -o, perché, in italiano, i più dei nomi maschili escono in -o), pluralizzabile in -i come qualunque altro maschile singolare in -o e così via (e lo stesso discorso vale, al femminile, per mamma).

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