Tratto dall’Accademia della Crusca
Moltissimi lettori ci scrivono per sapere se sia più corretto attribuire all’acronimo COVID-19 il genere maschile o femminile. Ci viene inoltre chiesto quale sia la corretta grafia del termine (tutto maiuscolo, tutto minuscolo o con la sola iniziale maiuscola).
Risposta
Tra i molti dubbi linguistici sorti nei parlanti in seguito alla diffusione dell’epidemia di COVID-19 e, insieme a essa, delle nuove parole legate alla malattia e all’emergenza sanitaria (per cui si vedano gli interventi di accademici e collaboratori dell’Accademia raccolti nella sezione #LaCruscaAcasa: le parole della pandemia), una delle questioni che maggiormente ha sollecitato la curiosità dei nostri lettori è stata quella relativa al genere grammaticale di COVID-19.
Come risulta ormai noto ai più (ma non sarà forse inutile ripeterlo), la forma COVID-19 è l’acronimo dell’inglese COronaVIrus Disease 19, ossia ‘malattia da coronavirus (del) 2019’ (con riferimento all’anno di identificazione del nuovo virus) ed è la denominazione ufficiale che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha attribuito, l’11 febbraio 2020, alla malattia respiratoria infettiva che ha colpito diversi paesi del mondo tra la fine del 2019 e il 2020. Come chiarito dal direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, il nome è stato scelto seguendo le linee guida internazionali per la denominazione delle malattie, secondo le quali i nomi coniati devono essere pronunciabili, legati alla malattia e non devono contenere riferimenti a nomi di luogo, di persona, di gruppi di persone o di animali, in modo da evitare stigmi e discriminazioni.
Nella lingua corrente la forma COVID-19 (anche nella variante ridotta COVID) pare ormai essersi decisamente affermata al maschile e anche un rapido controllo numerico delle sue occorrenze nelle pagine italiane di Google (condotto l’8/6/2020) ci conferma la schiacciante prevalenza dell’uso maschile su quello femminile, con ben 16.500.000 risultati della stringa di ricerca “il covid-19” contro i soli 318.000 di “la covid-19” (a cui vanno sommati, per la variante ridotta “il /la covid”, i 14.900.000 risultati del maschile contro i 540.000 del femminile). Cerchiamo quindi di ricostruire le ragioni che hanno condotto a questo mancato allineamento del sostantivo al genere grammaticale che si sarebbe dovuto affermare sulla base dei principi appena esposti.
In base al principio di assegnazione del genere basato sull’associazione con il genere del traducente, il nostro acronimo, la cui testa è rappresentata dal sostantivo inglese disease, letteralmente ‘malattia’, dovrebbe essere in italiano di genere femminile (e dunque “la COVID-19” e non “il COVID-19”), per analogia con i possibili traducenti malattia, infezione, patologia, o sindrome (sono invece da escludere eventuali associazioni con i sostantivi maschili morbo o disagio, in quanto traducenti meno precisi della voce inglese).
Ma da tale principio “difficilmente si possono estrarre regole di applicazione categorica” (Thornton 2003a; cfr. anche Thornton 2003b). Può quindi capitare che alcuni prestiti si affermino in italiano con un genere differente da quello che ci si sarebbe potuti aspettare, come nel caso di party (segnalato già da Klajn 1972 tra i cosiddetti “femminili mancati”), che in italiano è maschile nonostante il suo traducente più immediato, festa, sia invece femminile; o che altri prestiti oscillino nell’uso tra maschile e femminile a causa dell’esistenza di più di un possibile traducente, come e-mail (che può trovare un corrispettivo italiano tanto in sostantivi femminili come posta e corrispondenza, quanto in forme maschili come messaggio). Incertezze e oscillazioni sono poi ancora più frequenti nel caso di sigle e acronimi, a causa della natura non sempre trasparente della composizione, di cui spesso non viene chiaramente riconosciuta e identificata la testa: l’acronimo AIDS (dall’inglese Acquired Immuno-Deficiency Syndrome ‘sindrome da immunodeficienza acquisita), per esempio, prima di affermarsi nel genere maschile con il quale è oggi più comunemente impiegato, ha a lungo oscillato nell’uso tra maschile e femminile, sebbene il referente principale della sigla, sindrome, sia in italiano di genere femminile. Come ipotizzato da Augusto Fonseca, che ha analizzato le oscillazioni di genere del sostantivo nella stampa italiana degli anni ’80 e ’90, è plausibile che al trattamento della sigla come termine maschile abbia contribuito la confusione tra il nome della malattia (AIDS) e il nome del virus, che è invece HIV (ossia Human Immunodeficiency Virus ‘virus dell’immunodeficienza umana’) e che è in italiano di genere maschile in quanto maschile è anche il sostantivo virus che ne costituisce la testa.
Un’analoga sovrapposizione tra nome della malattia e nome del virus è probabilmente all’origine anche del prevalente impiego al maschile di COVID-19: l’acronimo viene infatti erroneamente interpretato da molti parlanti come il nome del virus responsabile della nuova patologia respiratoria, a cui è stato invece dato il nome di SARS-CoV-2 (acronimo dell’inglese Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2 ‘coronavirus 2 della sindrome respiratoria acuta grave’, in cui il 2 è dovuto alla stretta parentela con il virus causa della SARS, appunto denominato SARS-CoV). Tale fraintendimento è stato probabilmente determinato, oltre che dalla scarsa trasparenza dell’acronimo, di cui non sempre viene riconosciuto (e correttamente tradotto) il referente disease che ne è alla base, anche dallo scarso impiego nella stampa italiana del vero nome scientifico del virus (SARS-CoV-2), a cui più spesso ci si riferisce, in modo antonomastico, come “il coronavirus” (sugli usi della parola si rimanda alla scheda e all’articolo di approfondimento). Con la diffusione del nuovo acronimo, coniato per dare un nome scientifico ufficiale alla malattia, una parte dei parlanti ha quindi creduto che esso si riferisse al virus, anche a causa del frequente impiego improprio che in tal senso ne è stato fatto in rete e nei principali media italiani. Numerose sono infatti le occorrenze rilevate anche negli archivi dei maggiori quotidiani nazionali in cui si fa riferimento all’agente patogeno come al “virus Covid-19”, per esempio:
Il Covid-19 è un virus che può avere un decorso clinico insidioso con repentini peggioramenti, per questo l’attenzione deve restare alta ma non è il virus Ebola e il nostro Servizio Sanitario Nazionale sta rispondendo decisamente bene alle nuove necessità […]. (Sergio Harari, Coronavirus: restiamo vigili, ma non è il virus Ebola, Corriere.it, sez. Cronache, 27/2/2020)
Si stringono cosí le maglie dei controlli in città, per provare a rallentare la diffusione del virus Covid 19. Nel mirino del Comune ci sono soprattutto i locali, dopo che la scorsa notte a Imola la polizia è intervenuta perché qualche centinaio di persone sostava fuori da un pub. (Silvia Bignami, La città, “la Repubblica”, sez. Cronaca, p. 4, 8/3/2020)
Alla diffusione di tale uso improprio hanno in verità contribuito non solo la lingua dei giornali e degli altri mezzi di comunicazione, ma anche i testi dei decreti legge e di altri provvedimenti ufficiali emanati dal governo in merito all’emergenza sanitaria, che in molti casi i principali organi di informazione si sono limitati a citare. Già nelle disposizioni attuative del DL del 23 febbraio 2020, per esempio, con una formulazione mantenuta pressoché invariata anche nelle disposizioni dei mesi successivi, si parla di “virus COVID-19”, e lo stesso avviene anche in numerosi comunicati stampa del Ministero della Salute; qualche esempio:
In attuazione dell’art. 3, comma 1, del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, nei comuni indicati nell’allegato 1 al presente decreto, ad integrazione di quanto già disposto nelle ordinanze 21 febbraio 2020 e 22 febbraio 2020, sono adottate le seguenti misure di contenimento […]. (DPCM 23 febbraio 2020, articolo 1 “Misure urgenti di contenimento del contagio nei comuni delle Regioni Lombardia e Veneto”, comma 1)
Dobbiamo fare di tutto per limitare gli spostamenti e ridurre la diffusione del virus Covid-19. Puntiamo con forza sulla ricetta medica via email o con messaggio sul telefono. (Speranza: “Per limitare gli spostamenti puntiamo con forza sulla ricetta medica via email o con messaggio sul telefono”, Comunicato n. 118, salute.gov.it, 19/3/2020)
A rendere ancora più confusa la situazione (e meno chiara la distinzione tra la corretta denominazione del virus e quella della malattia), è poi intervenuto anche l’uso altrettanto improprio del sostantivo coronavirus a indicare per estensione non solo il virus SARS-CoV-2, ma anche la malattia respiratoria da esso provocata. Ciò ha avuto come diretta conseguenza il fatto che, nelle settimane successive alla divulgazione del nome ufficiale della malattia, il sostantivo coronavirus sia stato talora impiegato con funzione appositiva per accompagnare le prime attestazioni della forma COVID-19, forse per rendere più chiaro il significato del nuovo acronimo. Quest’ultimo è stato di conseguenza declinato al maschile (essendo coronavirus un sostantivo di genere maschile), e ciò ha senz’altro contribuito a rafforzare la convinzione che anche COVID-19 fosse in italiano di genere maschile. Per esempio:
Si aggrava il bilancio del coronavirus Covid-19, come è stato ribattezzato ieri dall’Organizzazione mondiale della Sanità riunita a Ginevra per fronteggiare l’emergenza. (s.n., Coronavirus Covid-19, oggi dimissioni per 20 cinesi che viaggiavano con coppia contagiata, repubblica.it, sez. Cronaca, 12/2/2020)
Le misure di prevenzione contro la diffusione del coronavirus Covid-19, che questa settimana, fra le altre cose, hanno fermato cinema, teatri, musei e spettacoli dal vivo, se da un lato hanno contribuito a frenare i contagi, dall’altro hanno provocato un danno economico ancora da quantificare. (Paolo Morelli, “Un fronte per aiutare la cultura”, “Corriere della Sera”, p. 4, 28/2/2020).
Non sono tuttavia mancate, soprattutto nei primi mesi, prima dell’effettiva affermazione del maschile nell’uso, anche occorrenze dell’acronimo al femminile, spesso accompagnato da sostantivi femminili quali malattia, pandemia, sindrome, patologia e simili, volti per lo più a chiarirne il significato:
Seguendo giornalmente l’evoluzione dell’epidemia del nuovo coronavirus (ribattezzato Sars-CoV-2) responsabile della Covid-19 (questo il nome dato dall’Oms alla patologia che causa) – ricorda Burioni – ci imbattiamo ancora in commenti da parte di profani […]. ([s.f.], Coronavirus Covid-19, Burioni: “L’Italia continui con l’isolamento, è l’unica misura efficace”, repubblica.it, sez. Medicina e Ricerca, 13/2/2020)
In primavera l’epidemia influenzale tende a sparire. Si può prevedere un’andamento [sic] simile anche per la Covid-19 visto che si tratta di sindromi respiratorie? (Margherita De Bac, Il virus arriva da naso e bocca a meno di due metri. Attenti alla tosse, “Corriere della Sera”, p. 13, 22/2/2020)
A un primo periodo di incertezza generale, in rete e nella stampa, in merito al genere grammaticale da attribuire all’acronimo, che ha visto la frequente oscillazione tra maschile e femminile anche all’interno del medesimo articolo, è seguita la rapida affermazione nell’uso del maschile, che ha ormai quasi del tutto soppiantato il femminile: una ricerca del 9/6/2020 delle occorrenze dell’acronimo negli archivi della “Repubblica” restituisce infatti solo 31 risultati della stringa “la covid” contro i 2.670 di “il covid”, e dati grosso modo analoghi si rilevano anche negli archivi della “Stampa”, con soli 25 esempi d’uso di “la covid” contro i 1.633 di “il covid”.