Nascosti in piena vistaConte e Di Maio sono immobili sulla crisi del Mediterraneo orientale

L’Italia ha assunto una posizione defilata su una questione di cruciale importanza strategica (infatti l’Eni è più che presente). Roma non prende pubblicamente posizione ma avrebbe interesse a giocare un ruolo da protagonista nella mediazione: per gli interessi nazionali, per la sua posizione geopolitica, per il suo ruolo di potenza regionale. Invece accetta di accucciarsi sotto l’ala protettrice della Germania

Unsplash

È ormai assordante e inquietante il silenzio di Luigi di Maio e Giuseppe Conte sulla crisi internazionale in atto che è deflagrata da mesi tra Grecia e Turchia nel Mediterraneo orientale, che si gioca su immensi giacimenti di metano e nella quale pure sono, sarebbero, immensi gli interessi strategici italiani.

Ancora più inquietante è il silenzio complice al riguardo del Partito democratico di Nicola Zingaretti che, nonostante gli accorati appelli di Marco Minniti, continua incredibilmente a non avere alcuna linea, alcuna posizione di politica estera. Afono sulla politica internazionale, come mai un partito di sinistra è stato.

I fatti sono noti: da alcuni anni sono stati individuati ricchi giacimenti metaniferi nelle acque economiche esclusive di Cipro, di portata tale che non vengono diffusi dati sulla loro immensa capienza (pare siano i più produttivi al mondo) per non fare calare il prezzo del metano.

L’Eni si è assicurato una posizione di assoluta preminenza nella prospezione e nella ricerca oggi, e nello sfruttamento domani, tanto che partecipa a ben sette licenze. Il tutto, dopo essersi ritagliato una posizione di primo piano nella prospezione e nello sfruttamento dell’enorme giacimento metanifero nelle acque economiche esclusive dell’Egitto e di Israele denominato Zohr (alcuni analisti avanzano l’ipotesi non ancora confermata pubblicamente che le due zone metanifere siano comunicanti).

Una nuova realtà che trasforma in certi esportatori di enormi quantità di energia sia Cipro, che la Grecia, che l’Egitto, che Israele, il tutto attraverso un consorzio nel quale l’Eni fa la parte del leone.

I problemi drammatici e le tensioni nel Mediterraneo orientale sorgono a causa della volontà ferma della Turchia e della Repubblica Turca di Cipro del Nord di contestare la titolarità della Grecia e della Repubblica di Cipro nello sfruttamento (e oggi nella ricerca) di questa immensa ricchezza, rivendicando il proprio diritto esclusivo a goderne.

Il tutto, complicato dal Trattato siglato nel novembre 2019 tra Tayyp Erdogan e il Fayez al Serraj, in base al quale la Libia ha riconosciuto alla Turchia i diritti esclusivi di sfruttamento dei campi metaniferi che vanno dalla costa libica all’Anatolia, gli stessi i cui diritti sono rivendicati da Grecia e Cipro.

Infine, la questione è ancora più complessa se si considera anche lo speculare trattato stipulato nel luglio 2020 tra Grecia ed Egitto che riservava ai due paesi lo sfruttamento degli stessi campi metaniferi il cui diritto di sfruttamento è rivendicato dalla Turchia e da Cipro Nord.

Per tutto il mese di agosto la querelle ha portato ad una reciproca “politica delle cannoniere”. La Francia, ha sposato per intero le ragioni della Grecia e di Cipro e ha inviato una consistente flotta militare nel Mediterraneo orientale, flotta che spesso è arrivata a un passo da scontri e collisioni in mare con le navi della flotta militare turca. Macron e Erdogan si sono presi a male parole e il presidente francese è arrivato al punto di dichiarare nel pre vertice europeo del 10 settembre ad Ajaccio che «Erdogan non è più un partner dell’Europa».

Dunque, due schieramenti sui quali l’Italia non prende pubblicamente posizione. Conte e Di Maio hanno assunto una posizione defilata, burocratica, invece di giocare un possibile, forte, ruolo di mediazione come imporrebbero gli interessi nazionali dell’Italia, la sua posizione geopolitica e il suo ruolo di potenza regionale.

Di fatto, si badi bene, Conte e Di Maio si sono messi quatti quatti sotto l’ala protettrice della Germania, che finge un ruolo di mediazione quale presidente di turno dell’Unione Europea, ma che in realtà gioca a favore della Turchia, tanto che nel vertice di Ajaccio ha bloccato tutti i tentativi di Macron di schierare l’Unione al fianco della Grecia (che è rimasta isolatissima) e ha proposto come soluzione temporanea una smilitarizzazione del Mediterraneo orientale che vedrebbe la Grecia e la Francia costrette a ritirare le loro flotte militari, mentre resterebbe in loco il poderoso apparato militare turco installato sulle coste dell’Anatolia meridionale e della Repubblica Turca di Cipro Nord.

Le ragioni di questa posizione morbida di Angela Merkel nei confronti di Erdogan sono chiare: la Germania teme che il presidente turco denunci, come ha minacciato di fare apertamente, il trattato siglato nel 2015 e mandi liberamente verso l’Europa continentale i milioni di profughi siriani che ospita in Turchia. Un disastro per Berlino e tutte le capitali nord europee.

La pavidità del silenzio italiano ha dello straordinario, perché il livello dello scontro intereuropeo è tale che il 20 settembre Cipro ha fatto fallire, grazie al vincolo della richiesta di unanimità, la decisione di tutti i ministri degli Esteri dell’Unione di esprimere una ferma condanna del bielorusso Lukashenko, dicendosi disposta a sottoscriverla solo e unicamente se Bruxelles si schiererà al suo fianco contro la Turchia. Nessuna dichiarazione di Di Maio o Conte neanche in questo caso.

Dunque, un’Europa completamente imballata, ma che offre enormi, potenziali spazi, non sfruttati, per la diplomazia italiana per svolgere un forte ruolo di mediazione basandosi sui suoi punti di forza: la capillare presenza nel Mediterraneo Orientale dell’Eni (che peraltro fornisce alla Turchia il metano russo attraverso Bluestream che partecipa al 50%), gli intensi rapporti economici con l’Egitto e la naturale vicinanza con la Grecia, a cui si aggiungono gli interessi petroliferi italiani e gli ottimi rapporti col governo libico di al Serraj, sostenuto dalla Turchia (della quale peraltro l’Italia è il secondo partner commerciale europeo, dopo la Germania).

Ma tutto indica che nel vertice europeo del 24 settembre, né Conte, né di Maio abbiano intenzione di fare qualcosa per giocare un ruolo forte e propositivo nella crisi del Mediterraneo. Al solito, la diplomazia giallorossa si esprime con frasi di circostanza, auspici, appelli al buon senso, banalità. Tutto pur di non avere problemi.

All’insegna di un plurisecolare e aggiornato motto così calzante sia a Conte che a Di Maio: «Con Francia o Germania, purché se magna».

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter