È successo già in Cina, la prima a riaprire mentre il mondo era ancora in lockdown. E ora anche in Italia si vede che non sono bastate le serrande alzate a farci tornare nei negozi. Nessun revenge spending. Tra i redditi che si assottigliano e la paura del contagio, la crisi si fa sentire soprattutto sui consumi. Nonostante l’Istat veda «estesi segnali di ripresa» dell’economia italiana nella sua nota mensile, nel commercio ancora non si registra il rimbalzo tanto atteso. Anzi.
Gli ultimi dati dell’istituto di statistica, riferiti a luglio, registrano una diminuzione ulteriore delle vendite rispetto al mese di giugno (-2,2%). Comprese quelle per i beni alimentari. Mentre su base annua il calo è del 7,2 per cento. A picco sia la grande distribuzione, ma soprattutto i negozi più piccoli, dove le vendite sono crollate del 14,6% dall’inizio dell’anno.
A soffrire sono soprattutto abbigliamento (-27,9%), scarpe (-17,3%) ed elettrodomestici (-14,9%). Gli unici acquisti che aumentano (+3,2%) rispetto allo scorso anno sono quelli di utensileria per la casa e ferramenta. Segno della maggiore permanenza tra le quattro mura anche dopo il lockdown. Persino computer, telefoni a prodotti informatici, diventati essenziali per studiare e lavorare, mostrano il segno meno (-0,3%).
I negozi specializzati – che vendono una sola tipologia di prodotti – sono quelli che ancora stentano a riprendersi, con un -24,4% da gennaio. Segno più per i supermercati (+5,9%), ma soprattutto per i discount di alimentari (+6,6%), grazie ai prezzi più bassi. Soffrono invece i grandi ipermercati, con un -3,1% da inizio anno. L’unico a crescere a doppia cifra, come prevedibile, è il commercio online, in aumento del 28,5% dall’inizio dell’anno. Ma, anche questo, in rallentamento rispetto al boom dei mesi di lockdown.
«Il calo delle vendite registrato dall’Istat a luglio certifica che la crisi del commercio, innescata dal lockdown, non è ancora finita», commentano da Confesercenti. «Particolarmente grave è la situazione dei piccoli negozi, che vedono crollare le vendite nel mese, con una flessione di -11,7% rispetto al luglio del 2019».
I segni negativi nelle vendite soprattutto per abbigliamento e scarpe si possono spiegare con lo spostamento dei saldi al mese successivo, come fanno notare dall’ufficio studi di Confcommercio, che ipotizza quindi un rimbalzo «di entità apprezzabile nei dati di agosto». E il diverso collocamento dei saldi spiegherebbe in parte anche il risultato più negativo dell’Italia rispetto ai principali Paesi dell’eurozona.
Ma da Confesercenti si fa notare che a essere colpito è tutto il settore del commercio. E che anche l’ecommerce, seppure in aumento, registra comunque un rallentamento rispetto ai mesi passati. «È la dimostrazione che la fine delle misure restrittive a maggio non è bastata a garantire quel rimbalzo sperato», dicono dall’associazione. «Le famiglie, che in un primo momento sono state protette dai numerosi interventi di politica fiscale, sembrano invece aver iniziato a percepire il deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro: una nuova incertezza cui fanno fronte mostrando maggiore prudenza nei consumi». Le misure messe in campo finora, secondo i commercianti, «non sono purtroppo sufficienti a invertire la rotta e far ritornare i consumi velocemente sui livelli pre-crisi».
Secondo un sondaggio condotto da Nielsen, con un budget di spesa più ristretto a disposizione, il 39% dei consumatori risparmia su pasti take-away, vacanze, intrattenimento fuori casa e abbigliamento. Dando priorità sia a salute e convenienza. Ma, a quanto pare, non si tratta solo di ragioni economiche. Ci sono abitudini ereditate dal lockdown che ancora continuano a far parte della quotidianità. Il “fai da te” persiste, nonostante l’allentamento delle misure restrittive e la riapertura di negozi e ristoranti.
La previsione di Confcommercio è che l’epidemia nel 2020 brucerà in tutto 116 miliardi di consumi, con una media di 1.900 euro a testa. Soprattutto nel Nord Italia: solo la Lombardia rinuncerà alla spesa di 22,6 miliardi. E per tornare ai livelli di spesa pro capite del 2019, serviranno almeno cinque anni.
Le previsioni sono fosche. Secondo il il Codacons, 27mila negozi solo nel comparto dell’abbigliamento siano a rischio chiusura entro il 2020. Mentre, in base a un sondaggio condotto da Confesercenti, circa 90mila imprese sarebbero pronte a chiudere per sempre i battenti già da questo autunno. Mentre tra le attività che proveranno a resistere, quattro su dieci vorrebbero almeno ridurre il personale. «Se la spesa delle famiglie resta al palo, l’intera economia del Paese non ripartirà», avvertono.