Senza un tettoLa crisi economica post-Covid rischia di far impennare il numero degli sfratti

«La pandemia ha aggravato le fragilità già esistenti, specie in quelle realtà dove il canone di locazione rappresenta la metà o più del reddito disponibile». spiega Antonio Falotico, segretario del sindacato inquilini. Il governo ha bloccato gli sgomberi fino al 31 dicembre ma bisogna tutelare anche i locatari

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Anna ha poco più di 40 anni. È di origine filippina, ha due figli, di 9 e 6 anni, e vive col marito alla periferia di Milano. Due anni fa, con enormi sacrifici, è riuscita a comprare casa. «Abbiamo acceso un mutuo. Tra me e mio marito non c’era alcun problema nel pagamento delle rate, finché non è arrivata la pandemia», racconta a Linkiesta in un italiano che non tradisce l’origine asiatica. Anna, infatti, non lavora da febbraio 2020: «Facevo la badante, avevo un contratto regolare, poi con il Covid si è fermato tutto e, a parte qualche lavoretto, non riesco più a trovare un’occupazione stabile».

Come lei anche il marito, operaio, che oggi lavora soltanto tre ore a settimana. Risultato? «Spesso dobbiamo andare alla parrocchia qui vicino casa per chiedere del cibo o ci rivolgiamo ad alcune fondazioni per avere qualche piccolo aiuto». Il problema grosso, però, è la casa: «L’ultimo mese che siamo riusciti a pagare è marzo», racconta Anna. Da allora un buco continuo, un debito in costante aumento. «La banca ci ha detto che sono disposti ad aspettare, però dobbiamo riuscire almeno a pagare un mese per far vedere il nostro impegno – dice ancora con un filo di imbarazzo – ecco perché ci siamo fatti prestare 500 euro da alcuni nostri connazionali».

Quella di Anna non è una storia isolata. Secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno aggiornati al 2018, sono 30.127 i nuclei familiari ad aver materialmente subìto uno sfratto. Se le cifre sono migliorate rispetto alla rilevazione dell’anno precedente (-5,69%), parliamo comunque di 82 evacuazioni al giorno, 3 ogni ora. Le richieste di esecuzione sono molto più alte (118.823), così come i provvedimenti di sfratto emessi dall’ufficiale giudiziario (56.140). L’88% (ben 49.290) avviene per morosità: esattamente come rischia di accadere ad Anna.

Il problema, al di là dei dati, è che le percentuali con la crisi economica post-Covid rischiano di aumentare vertiginosamente. «La pandemia ha aggravato le situazioni di fragilità già esistenti – spiega Antonio Falotico, segretario generale del Sicet (Sindacato inquilini casa e territorio) – poiché molte famiglie sono rimaste per mesi senza alcuna fonte di reddito, specie in quelle realtà dove il canone di locazione rappresenta la metà o più del reddito disponibile».

C’è da dire, però, che «in piena pandemia la politica ha compreso che c’era un’emergenza abitativa da affrontare che poteva diventare una bomba sociale», continua ancora Falotico. «Su nostra sollecitazione il governo ha adottato nel Decreto Rilancio una serie di misure, come il blocco degli sfratti fino al 31 dicembre, ma le risorse sono a nostro avviso ancora insufficienti per dare una risposta alle crescenti richieste di aiuto delle fasce sociali più deboli».

È grazie a questa misura che Giuliano, 78 anni, ex docente di inglese di Palermo oggi in pensione, ancora vive sotto un tetto: «Lo sfratto doveva diventare esecutivo il 31 agosto – racconta – Per fortuna ora è tutto rinviato a fine anno». Il tema è delicato: se infatti c’è chi esulta per lo stop agli sfratti come Giuliano, per i proprietari di alloggi la decisione crea non pochi problemi. «Si tratta di una misura di una gravità inaudita», spiega a Linkiesta Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia. «Il governo e il Parlamento ritengono che vada tutelata l’esigenza di una categoria di cittadini, ma devono fare in modo che se ne faccia carico la collettività, non imporre ad un’altra categoria di cittadini di farlo, a proprie spese».

Dopo le proteste dell’associazione di categoria, non a caso, lo stesso primo firmatario della norma che blocca gli sfratti, Stefano Fassina (Leu), ha annunciato che nella sessione di conversione in legge del Decreto Agosto si farà carico delle istanze dei proprietari. «Chi l’ha detto che il proprietario non sia una partita Iva o una persona che ha perso nel frattempo il lavoro? In Parlamento nessuno si è posto questa eventualità», spiega ancora Spaziani Testa. Tre le proposte avanzate, dunque, da Confedilizia: «Bisogna o integrare la normativa condizionando lo stop al pagamento degli affitti al solo periodo di lockdown, o bisogna tener conto solo di effettive difficoltà degli inquilini, oppure bisogna predisporre degli indennizzi per i proprietari che subiscono il blocco».

Lo stop agli sfratti, peraltro, rischia di essere anche per chi è in affitto solo un palliativo: appena arriverà il 2021 i problemi di qualche mese fa si ripresenteranno come prima: «Sono due anni ormai che non riesco a trovare altre occupazioni. Il mio fisico non è più quello di un tempo e nessuno vuole un 78enne», spiega Giuliano. Così, con la sola pensione inferiore ai 1.000 euro, non sa a chi rivolgersi: «Non riesco più neanche a concordare incontri di lavoro perché spesso quando dall’altro lato della cornetta sentono la mia età, preferiscono chiuderla lì». Né può accedere, almeno per ora, alle case popolari: «L’ultimo Isee che ho presentato, poiché fa riferimento agli anni passati, superava la soglia minima».

Restano gli amici: «Qualcuno mi ha detto che sarà disposto ad accogliermi nel caso non dovessi avere un posto dove andare ma sa: tra il dire e il fare…». Il problema, come spiega ancora Falotico, è esattamente questo: se la pandemia ha messo il carico da novanta aggravando le difficoltà delle fasce più deboli della popolazione, il problema era evidente anche prima: «Purtroppo per molto tempo il tema della casa è stato ”sfrattato” dall’agenda politica. Gli unici due interventi legislativi, ovvero il fondo di sostegno agli affitti e il fondo per le morosità incolpevoli sono stati o sotto-finanziati o di difficile accesso». E non è, a quanto pare, solo l’opinione di un sindacalista, questa.

In questi giorni è stata pubblicata una lunga relazione della Corte dei conti che fa il punto proprio su come siano stati utilizzati questi fondi nel corso degli ultimi anni. Nonostante il fine sia assolutamente lodevole, il ritratto dei magistrati contabili è purtroppo impietoso e rivela, di fatto, un’attenzione al fenomeno quantomeno altalenante nel corso degli anni. Per quanto riguarda, ad esempio, il «Fondo per il sostegno all’accesso all’abitazione in locazione» finalizzato ad agevolazioni e aiuti economici per fornire ai cittadini meno abbienti contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione, si è passati dai 389 milioni di euro del primo anno di funzionamento (1999) ai 9,9 milioni nel 2011, per arrivare a fondi pari a zero euro nel biennio 2012-2013 (governo Monti) e nel triennio 2016-2018 (governi Renzi e Gentiloni).

Nonostante siano gli stessi magistrati a riconoscere «una decisa inversione di tendenza negli ultimi due esercizi osservati» dato che nel 2019 si è passati a finanziamenti pari a 70 milioni e, dopo il dl Rilancio, a 140 milioni nel 2020, il rischio è che siano ancora fondi insufficienti. Secondo i dati aggiornati al 30 settembre 2019, le richieste arrivate ai comuni per accedere a tale Fondo sono state 548.484, ma solo 444.971 sono state esaudite con contributi di varia entità.

Le cose non migliorano se ci spostiamo sull’altra tipologia di finanziamento, il «Fondo inquilini morosi incolpevoli», destinato a sostenere i soggetti che non riescono a pagare l’affitto perché impossibilitati. In questo caso parliamo di finanziamenti complessivi di 231 milioni di euro dal 2014 ad oggi, che sono stanziati tenendo conto dei comuni a più alta densità abitativa. Tali comuni sono elencati in una delibera Cipe del 13 novembre 2013, che però non è mai stata aggiornata, «nonostante la legge ne fissasse il termine al 27 giugno 2014», dice la Corte dei conti. Risultato: le risorse «vengono attualmente individuate dalle regioni nell’ambito di una soglia di popolazione fissata per l’intero territorio nazionale in 31.390.224 abitanti».

Il resto è escluso per una «inadempienza alle citate disposizioni» che «comporta evidenti ricadute sul sistema di attribuzione delle risorse». Come spesso accade, però, al problema di finanziamenti sottodimensionati c’è anche quello, ancora più paradossale, di quote inutilizzate e rimaste nel cassetto. A fronte di incredibili numeri relativi agli sfratti, inspiegabilmente non sono stati utilizzati 87,9 milioni di risorse del Fondo inquilini morosi incolpevoli nel periodo 2014-2018. Parliamo del 52,2% del totale stanziato.

In altre parole, per ogni milione stanziato per chi rischiava di perdere una casa, 500mila euro non sono stati spesi. In alcune regioni i dati sono esemplificativi: dalla Sicilia (utilizzato in quegli anni solo il 4,36% dei fondi) alla Campania (9%) fino alla Calabria (9,3%). Sarebbe forse stato utile per un monitoraggio attento del fenomeno un Osservatorio nazionale sulla condizione abitativa. E in effetti era stato previsto già nel 1998. La sua storia è un’altra incredibile follia burocratica italiana: istituito nel 1998, l’organizzazione e le funzioni sono state concretamente stabilite solo nel 2005.

Nonostante il ritardo di sette anni, la struttura era imponente: una Commissione tecnica composta da otto membri con compiti di supporto, un Comitato con la partecipazione di quattro rappresentanti del ministero delle Infrastrutture e un rappresentante per ciascuna Regione. Insomma, come si legge nella relazione della Corte dei conti, «all’Osservatorio era stato riconosciuto un importante ruolo di cerniera fra le politiche abitative seguite a livello centrale e le competenze in materia affidate agli enti territoriali, oltre che di interlocutore autorevole ed aggiornato con i corrispondenti organi operanti negli altri Paesi europei». Peccato però che nello stesso 2005 l’Osservatorio è rientrato nel taglio lineare del 30% delle spese sostenute dalle amministrazioni centrali dello Stato. Risultato: l’ente è stato soppresso prima ancora che cominciasse a vivere.

Vedremo ora cosa accadrà. Anche perché le richieste di società civile e sindacati sono quelle di pensare non a misure spot, ma a provvedimenti strutturali: «Finora – ragiona Ivano Abruzzi, presidente della Fondazione L’Albero della Vita – ci si è occupati di povertà solo in termini lavorativi, occorre invece pensare al fenomeno nella sua completezza. Perché oltre a chi viene sfrattato c’è anche chi vive in alloggi che versano in condizioni pessime: sono migliaia e migliaia le famiglie che si ritrovano senza corrente o spesso senza acqua. E con la crisi questa situazione potrebbe degenerare».

Dello stesso avviso anche Falotico: «Abbiamo chiesto al governo di portare a 400 milioni le risorse per affrontare l’emergenza casa introducendo un contributo per il pagamento delle utenze domestiche, interventi specifici destinati ai senza tetto, gli ultimi tra gli ultimi, da concertare con gli enti locali e incentivi fiscali per i proprietari che affittano a canone regolato. Ci auguriamo che non ci sia una nuova emergenza Covid-19 in autunno, ma una classe politica responsabile si attrezza oggi per affrontare meglio il domani».

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