Stappati in casa Bollicine in fermento: che ne sarà dei vini delle feste

Le bottiglie che nel periodo di fine anno sono le più bevute, comprate e regalate soffrono per la chiusura forzata dei ristoranti e dei locali. Il consumo domestico copre solo in parte la perdita e il 2020 rischia di essere l’anno meno frizzante di sempre

Foto di cottonbro da Pexels

Celebrazioni ridotte all’osso, Natale a rischio, Capodanno non pervenuto: la situazione per chi ha fatto dei festeggiamenti il suo core business è preoccupante. E a soffrire saranno proprio le bollicine, al centro da sempre delle festività e che sviluppano negli ultimi due mesi dell’anno il 35% del fatturato complessivo. Abbiamo fatto un giro d’Italia delle realtà più significative, e ovunque la situazione è preoccupante, ma con visioni prospettiche sul 2021 e progetti intrapresi per far fronte alla crisi.

A partire dal Consorzio per la tutela dell’Asti DOCG, nelle parole del nuovo Direttore Generale Giacomo Pondini, in carica dal 16 giugno 2020 dopo due esperienze toscane, con Brunello di Montalcino e Morellino di Scansano. «Qui al Consorzio tracciamo l’andamento del mercato e delle richieste in due modi: attraverso la consegna dei contrassegni, quella fascetta di Stato che deve essere posta sulla capsula di chiusura delle bottiglie, e danno il polso di quante bottiglie vengono effettivamente vendute, visto che le aziende vanno a certificare e imbottigliare il prodotto quando hanno la certezza del collocamento sul mercato. In questo senso i dati di ottobre rispetto al 2019 sono confortanti: in generale, se consideriamo Asti e Moscato d’Asti c’è un incremento del 10%. Cresce molto di più il moscato con un +14% rispetto all’Asti, che comunque ha segnato un buon +8%. C’è una buona approssimazione che siano effettivamente bottiglie vendute perché questi non sono vini da affinamento». 

Ma c’è un altro modo per contare le vendite. Prosegue Pondini: «La seconda tipologia di dati che abbiamo a disposizione ce li comunicano le aziende consorziate: e in base a questi dati rispetto al 2019 siamo a più  3milioni di bottiglie: passiamo da 46 milioni di bottiglie a 49 milioni da gennaio a settembre. Il moscato d’Asti è arrivato a 22 milioni e mezzo di bottiglie quindi segna un +4milioni , mentre l’Asti spumante è sostanzialmente in linea con il 2019».

Ma come andrà la chiusura dell’anno, di solito il momento determinante in cui si concentra il 35% delle vendite dell’intero anno? Continua il Direttore: «Questa denominazione vende all’estero l’85% delle bottiglie. La proiezione internazionale è positiva, perché il trend è sui mercati esteri prevalentemente di Stati Uniti e Russia tiene, visto che lì il mercato principale è sulla grande distribuzione. L’Italia invece sta soffrendo di un lockdown proprio quando i nostri prodotti sono particolarmente ricercati, con celebrazioni, feste e cene nei ristoranti. In Italia abbiamo un forte sbocco sulla gdo ma il mercato più importante rimane l’horeca che da noi è molto sofferente. Per questo non c’è la prospettiva di un consumo allineato sugli anni precedenti per l’ultimo trimestre. Per le prossime settimane stiamo lavorando sull’Italia con una nuova campagna pubblicitaria con Alessandro Borghese, che riteniamo avrà una ricaduta positiva anche sul 2021, anno che vedrà una conferma della collaborazione con lo chef. All’estero invece ci stiamo impegnando in iniziative legate alla promozione attraverso bandi comunitari, con attività istituzionali».

«Noi in questo momento siamo un po’ alla finestra: la situazione è in divenire, se davvero ci fosse una prospettiva di soluzione o di miglioramento della pandemia le cose potrebbero sistemarsi, e magari dopo la seconda metà del 2021 potremmo ricominciare a pensare a eventi specifici sui mercati esteri, specialmente quelli asiatici su cui stiamo lavorando. L’Asia in generale è un continente dove al contempo abbiamo nazioni dove Asti ha una grande riconoscibilità e risposta del mercato e altri dove c’è bisogno di lavorare sul lungo periodo. Il nostro progetto triennale sull’Asia è in stand by a causa delle difficoltà degli spostamenti ma lo riprenderemo appena ci sarà possibilità di viaggiare, e punteremo a svolgere attività di incoming verso i nostri territori, che pagano sempre in termini di efficacia e emozionalità del messaggio». 

Ma una novità c’è, ed è dirompente per questa tipologia di prodotto: storicamente il consorzio ha sempre affiancato le aziende anche nelle attività di ricerca e sviluppo con un laboratorio interno, che oltre a svolgere attività di consulenza per analisi rispetto alle normative, porta avanti importanti attività di ricerca sugli aromatici. Un vitigno aromatico è molto più sensibile ai cambiamenti climatici quindi è importante capire la sua evoluzione.

L’Asti è sempre stato lo spumante dolce: risalgono al 1850 i primi metodi classici con il vitigno moscato bianco. Già da tre anni è stato possibile ampliare la gamma con tipologie dry, extra dry e demi sec. Da tre settimane con una recente modifica del disciplinare Asti spumante può essere prodotto anche come brut extra brut e pas dosé, diventando l’unica denominazione con altre tipologie di residuo zuccherino. E Pondini ne è molto fiero: «Il consorzio si fa ambasciatore di queste nuove opportunità: senza il laboratorio sarebbe stato un percorso molto più difficile per le aziende senza struttura».

Spostandoci in Lombardia è la Franciacorta a dare un quadro sulle bollicine. Lucia Barzanò, alla guida insieme al fratello Giulio della cantina Il Mosnel, nel cuore della Franciacorta non nasconde la preoccupazione per un anno complesso: «Questo 2020 è stato un anno faticoso, a singhiozzo: è partito bene, poi c’è stato lo stop del primo lockdown che ci ha fatto perdere parecchio fino a giugno, mese nel quale è partita una ripresa forte, con tre mesi che sono andati addirittura meglio dell’anno scorso. Poi sono seguiti un settembre e ottobre di grande rallentamento e da inizio novembre è tutto fermo di nuovo. Noi vendiamo quasi solo a ristoranti ed enoteche, e gli ultimi due mesi dell’anno per noi rappresentano un fatturato importante: nel 2020 saranno quasi zero. Siamo abbastanza pessimisti purtroppo. Cerchiamo di supplire con un po’ di shop online, che non farà mai i numeri del settore horeca ma comunque fa movimento, e con qualcosa che mandiamo all’estero. Devo dire che il mercato straniero imprevedibilmente sta funzionando meglio del solito e se per la Franciacorta è sempre stato intorno al 12% nel 2020 sta aumentando, contro ogni previsione.

Ma quali reazioni hanno messo in atto nella cantina di Camignone? Prosegue Barzanò: «Ad aprile e maggio abbiamo fatto un’operazione che è piaciuta molto, con prodotti speciali che abbiamo messo solo sullo shop online per differenziare la proposta. Siamo andati a cercare nella cantina storica dell’azienda e abbiamo fatto una confezione con rarità del 2010, e poi una con rarità Saten, una piccola verticale di tre bottiglie. E per il Natale, oltre al nostro classico EBB, il prodotto del cuore dedicato alla nostra mamma, e che ha preso i 3 bicchieri, abbiamo deciso di proporre una Magnum con un millesimo del 2000 con una sboccatura di quest’anno. Una sorta di riedizione 2020, con l’intendo anche di esorcizzare questo anno così difficile. Anche questa sarà disponibile solo online sul nostro sito».

Al di là dei prodotti, anche le strategie sono cambiate, come spiega Barzanò: «Per la prima volta abbiamo fatto advertising su facebook per lo shop online e abbiamo fatto un po’ di dirette instagram. Proporremo degustazioni virtuali a chi acquista il vino con l’enologo o la sommelier e cercheremo di mantenere – non appena si potrà – il bell’afflusso di pubblico avuto quest’estate, quando abbiamo avuto un afflusso di pubblico mai visto prima di appassionati e di giovani, soprattutto di queste zone, che si sono dimostrati molto interessati ai vini ma anche ai nostri pic nic in vigna, che riproporremo potenziato non appena ne avremo di nuovo l’occasione e il clima lo permetterà».

Un atteggiamento quindi propositivo, nonostante il momento: «Bisogna come sempre essere pronti e ricettivi e captare cosa si può proporre in una situazione completamente diversa da quella di prima: stare fermi non ha senso, meglio buttarsi e scommettere sui progetti perché non ha senso stare fermi e chiusi in casa. E poi pensare un po’ al bello: noi abbiamo preparato un bellissimo sovescio, cerchiamo di lavorare sulla bellezza del territorio che verrà. Abbiamo piantato le essenze tra i filari, che hanno anche una funzione tecnica ma sono una evidenza di bellezza in primavera. L’abbiamo fatto l’ultima volta nel 2016, anche perché servono particolari condizioni di clima per poterlo fare al meglio, e allora i vigneti erano uno spettacolo, con un’alternanza di colori splendida. Speriamo che per la prossima primavera questo effetto della natura sia di buon auspicio e dia conforto».

I vigneti fioriti di Mosnel in Franciacorta

Anche il Prosecco soffre, come dichiara a Gastronomika Luca Ferraro di Bele Casel, piccola realtà che produce Prosecco ad Asolo: «La nostra distribuzione nazionale sta vendendo molto poco e non saprei dire cosa succederà nelle prossime settimane. Certo per noi che produciamo Prosecco è doppiamente difficile, in quanto vino destinato soprattutto alla mescita. Un vino insomma il cui sbocco naturale è quello dei bar, degli aperitivi, degli spritz. Gli USA che per noi rappresentano il 50% del fatturato erano abbastanza inchiodati, nel senso che eravamo abituati a spedire anche più di una volta ogni mese e da marzo a oggi abbiamo spedito solo due volte, in tutto. Per il Natale però da quelle parti qualcosa sembra muoversi, sono arrivati due ordini consecutivi abbastanza consistenti, cosa che mi fa pensare che prevedono di lavorare, almeno un po’. Certo io parlo della California, che mi dicono aver vissuto per esempio a San Francisco un lockdown abbastanza pesante».

E passando ai distributori, la sostanza del discorso non cambia: «Soffriranno certamente di più le bollicine, credo e spero molto meno il rosso. Ma l’anno potrebbe chiudersi con un risultato tra il -20 e il -30% per il nostro settore», spiega Luca Cuzziol, ad di Cuzziol GrandiVini e neo presidente Club Excellence, società che riunisce 18 tra i più importanti distributori ed importatori di vini e distillati in Italia. 230 milioni di fatturato, sviluppato da 1400 agenti, e un migliaio di produttori rappresentati tra Italia ed estero: i distributori di Club Excellence servono prevalentemente la fatica medio/alta. Enoteche, wine bar, ristorazione che serve bottiglie dal prezzo medio di 20-25 euro in su. «Dopo il primo lockdown siamo andati incontro finanziariamente a tanti ristoratori clienti, e l’estate ha fatto segnare un ottimo rimbalzo per il mercato dei vini. Tra i nostri associati alcuni erano riusciti a contenere molto le perdite a settembre, ma molti clienti non avevano ancora ultimato un piano di rientro quando si sono trovati ad affrontare la seconda chiusura. E adesso la affrontano scarichi e debolissimi. Pesantissimi i cali sulle città d’arte: Venezia, Roma, Firenze hanno già segnato ribassi del 50, 60, anche 70%. Adesso, con di fronte un periodo più lungo, la situazione è tutt’altro che rosea». Molte enoteche delle città e alcune piattaforme di e-commerce sono positive, qualcuno ha anche fatto ordini più consistenti in vista del Natale. «Ma la ristorazione e le strutture alberghiere», spiega Cuzziol, «non potranno trarre frutto dai cenoni e dalle possibili mini-riunioni di famiglia sotto le Feste. Cenone e precenone non cambieranno le cose, anche perché arriveremo a Natale con aspettative e umore assai diversi dal solito». Il Natale, normalmente, inizia ben prima del 25 dicembre, con tutto l’indotto delle cene e feste aziendali, degli aperitivi tra amici, degli incontri. «La mia azienda è collocata nel cuore del territorio del Prosecco. Qui i produttori di fascia alta, per i quali la GDO pesa pochissimo, sono in sofferenza, da -30% in su. Tra noi distributori, chi ha un portafoglio molto sbilanciato su bollicine italiane, champagne e bottiglie da regalo, magari con un impatto sul fatturato anche del 60%, affronterà un fine anno durissimo». Tra gli sforzi per ripartire, si spera dalla primavera in modo strutturato, Cuzziol indica al primo posto la formazione. «Dovremo essere più propositivi sul mercato, ma anche autorevoli. Mandare sul territorio agenti siano consapevoli e che conoscano la proposta che stanno portando. Dovranno brillare gli occhi dei ristoratori di fronte a proposte adeguate alla loro cucina, al territorio, agli abbinamenti».

Se quest’anno faremo fatica a bere “frizzante” al tavolo di un ristorante possiamo sostenere il settore continuando a stappare italiano: le feste, comunque esse saranno, vanno affrontate con un brindisi: una cosa è certa, il 2020 sta per finire.

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