Inside AmsterdamIl vecchio-nuovo governo Rutte e l’ascesa dei Democraten 66 nei Paesi Bassi

Dopo nove mesi di trattative saranno sempre gli stessi quattro partiti a formare l’esecutivo. Ma cambiano le dinamiche interne: il partito liberale europeista ha acquisito sempre più spazio a discapito dell’Appello Cristiano Democratico, il cui leader Wopke Hoekstra, dovrà rinunciare al ministero delle Finanze

LaPresse

A nove mesi dalle elezioni finalmente è stata raggiunta un’intesa per formare un nuovo governo.  A guidarlo ci sarà sempre Mark Rutte, il “premier teflon”, leader del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia. Anche gli alleati saranno sempre gli stessi: dai Democratici 66, l’Appello Cristiano Democratico (CDA) e l’Unione cristiana. A cambiare però sono le dinamiche interne. Nella vecchia-nuova coalizione che sarà  resa ufficiale a partire da gennaio 2022 avrà sempre più peso il partito dei Democratici 66, forza liberale presente già nell’attuale governo ma che adesso diventerà il secondo partito più importante della maggioranza dopo quello del premier. Una differenza importante rispetto al passato, quando quel ruolo era occupato dall’Appello Cristiano Democratico.

In uno Stato da sempre attento alle tradizioni, essere il secondo partito in un governo non è un ruolo irrilevante. Il governo Rutte IV non farà eccezione e le premesse sembrano essere state lanciate già in questi nove mesi di discussioni, in cui i partner di governo hanno discusso non soltanto del programma di coalizione ma anche della nuova cultura amministrativa e dell’immagine che si vuole dare all’esecutivo. 

Le differenze rispetto al vecchio governo Rutte III, dimessosi quasi un anno fa, sono ridotte, ma le elezioni di marzo hanno ridisegnato lo scenario. Ha perso quota l’Appello Cristiano Democratico, che in quattro anni ha dilapidato oltre 300 mila voti: per questa ragione nella lista dei ministri, che sarà presto resa pubblica, Wopke Hoekstra, leader del partito, non dovrebbe più ricoprire la carica di ministro delle Finanze. Al suo posto è molto probabile che l’incarico venga assegnato a un esponente dei Democratici 66, partito che ha ottenuto un buon risultato alle elezioni (dove ha conquistato il secondo posto e il 15,02 per cento dei voti) e che, in materia di bilancio, ha una posizione di maggiore flessibilità rispetto all’austerità propugnata dai conservatori di Hoekstra. 

Favorito per la nomina è Sigfrid Kaag, ex ministra degli esteri del governo Rutte III e leader dei D66, che in materia economica ed europea è da sempre fautrice di una maggiore connessione con Francia e Germania piuttosto che con i falchi del nord. Secondo la stampa olandese, un accordo di massima tra i quattro partiti della coalizione sarebbe stato trovato: da quello che trapela una delle battaglie principali che l’esecutivo intende portare avanti sarà la lotta all’emergenza climatica, su cui intende investire miliardi di euro. 

Una battaglia in cui un ruolo importante sarà proprio quello dei D66 che potrebbero vedersi assegnato anche il ministero del clima, che però è senza portafoglio. Avendo alle porte la discussione in Europa sulla revisione del patto di stabilità l’impressione è che la scelta, anche per una questione di prestigio, sia piuttosto scontata per la leader Kaag. 

Chi sono i Democratici 66
Nello scorrere indietro la storia ultracinquantennale dei Democratici 66 (che, come dice il nome stesso, sono appunto nati nel 1966) si ritrovano molti dettagli presenti ancora oggi. Molte battaglie di ieri, come la democratizzazione dello Stato e l’affermazione della sfera individuale, sono state vinte mentre altre sono state modificate, come dimostra la volontà del partito di un’Europa federale e a una sempre maggiore integrazione su questioni come l’ambiente, l’immigrazione e la politica estera. 

Per un partito di ispirazione liberale (non è un caso che al Parlamento europeo i D66 appartengano alla famiglia di Renew Europe, come il VVD del premier Rutte), sono altrettanto importanti fattori come l’introduzione di un’economia mista, che coniughi tanto il pubblico quanto il privato, e un maggiore investimento a tutela dell’energia e dell’ambiente. Tutti temi che ha fatto propri anche la nuova leader Kaag, una vita nell’ambito della diplomazia internazionale (tra i suoi incarichi si distinguono la guida della missione congiunta OPCW-ONU in Siria e il coordinamento delle forze speciali per il Libano) prima di scendere in campo in politica nel 2017, prima alla guida del ministero del commercio estero e poi della diplomazia olandese. 

Un incarico quest’ultimo dal quale si è dimessa nell’agosto 2021, dopo le difficoltà delle truppe olandesi a rientrare in Afghanistan, nonostante avesse assunto l’incarico soltanto tre mesi prima. «Molte cose non sono andate come dovevano andare», aveva dichiarato l’ex ministra per giustificare la sua scelta di dimettersi. 

La scelta è sua modo coerente con quanto aveva fatto la stessa Kaag insieme a Hoekstra lo scorso aprile, quando avevano presentato una mozione di censura nei confronti di Rutte in seguito alla gestione poco chiara dei negoziati post voto. 

Costruirsi un’immagine rispettabile, in un momento in cui spesso i politici dei Paesi Bassi vengono visti come opachi, è un fattore di non poco conto anche per il futuro, soprattutto in ottica 2025 quando si terranno le prossime elezioni. O forse prima: in molti infatti già a marzo pronosticavano una durata breve per il Rutte IV. Secondo il giornale AD, «troppi partiti stanno aspettando dietro le quinte per spezzare il potere del VVD una volta per tutte e porre fine a Rutte. E una volta che la crisi del coronavirus sarà alle nostre spalle, potrebbe accadere molto presto». 

Le differenze con il passato 
Se la profezia di AD si avvererà è al momento difficile da prevedere. Ciò che è sicuro, però, è che l’impostazione del nuovo governo sarà decisamente diversa rispetto al recente passato, che ha spesso visto i governi de L’Aia e di Roma su fronti opposti. Merito, o colpa, del ministro delle Finanze Wopke Hoekstra che, negli ultimi 4 anni, ha più volte mostrato il suo disaccordo con le politiche più permissive dell’Europa nei confronti dell’Italia. 

Celebri alcune sue battaglie in nome del rigore, come la contestazione dell’accordo tra Roma e Bruxelles sulla manovra del 2019 che lo portarono a scrivere una lettera alla Commissione per chiedere spiegazioni sul mancato avvio della procedura di infrazione per deficit eccessivo. Lo stesso fece nel 2020, quando si oppose con fermezza a quello che poi sarebbe diventato il Next Generation Eu e arrivò persino a chiedere alla Commissione di indagare sui conti dell’Italia, ancora alle prese con lockdown e migliaia di morti ogni giorno. Non è andata meglio sul fronte interno, come dimostra la richiesta di dimezzare gli assegni di disoccupazione per gli olandesi in pieno lockdown e in piena campagna elettorale. 

Alla fine, il contrappasso è stato inevitabile: il nome di Hoekstra è uno di quelli emerso nello scandalo dei Pandora Papers. Secondo i documenti nel 2009 l’ex ministro delle Finanze avrebbe investito in una società che organizzava safari in Tanzania, attraverso una società fittizia presso le Isole Vergini Britanniche, vendendo il tutto una settimana prima di diventare ministro nel 2017, non menzionando per nulla l’affare al Parlamento. Una differenza che stride.

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