Presente estesoI rischi del pensiero a breve termine e la miopia della politica

Da anni, aziende, istituzioni e governi hanno smesso di progettare sul lungo periodo, preferendo risultati immediati. In questo modo si rimane intrappolati in un pregiudizio cognitivo chiamato «euristica della disponibilità», che ci fa immaginare il futuro solo attraverso gli eventi recenti

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Da anni continuiamo a concentrarci sui risultati a breve termine, quelli che hanno arricchito azionisti e manager (i famosi ««top manager stockopzionisti») a discapito di strategie di sviluppo e consolidamento delle aziende. Strategie che generalmente salvaguardano l’occupazione, favoriscono ricerca e innovazione, creano valore per consumatori, utilizzatori, stakeholder in generale; che mirano a fornire prodotti più innovativi, servizi più efficienti e maggiore attenzione all’ambiente, come afferma la ricerca pubblicata nel 2019 da Fclt Global – organizzazione senza scopo di lucro fondata da enti e aziende quali, tra gli altri, BlackRock, il Canada Pension Plan Investment Board, Dow Chemical e McKinsey & Company e Tata Sons. Fclt sviluppa strumenti e approcci pratici che incoraggiano le aziende a comportamenti a lungo termine nel processo decisionale aziendale e di investimento.

Un recente libro di Richard Fisher da poco pubblicato da Wildfire, amplia il significato di «long-term» alla società nel suo insieme che sconta, a parere dell’autore, e io non posso che essere d’accordo, un atteggiamento che, ancor più di prima, si fonda sul concentrarsi solo sul presente senza imparare nulla dal passato e senza alcuna voglia di immaginare un futuro. Fisher, laurea in geologia e giornalista senior della Bbc, ha iniziato questo percorso pensando a sua figlia Grace che, sottolinea, avrà ottantasei anni nel 2100.

Non solo quindi il «quarterly thinking» e la «tyranny of targets» come li chiama Fisher ma, riprendendo un saggio di due giovani filosofi, John M. Tyler e William MacAskill, pubblicato nel 2020 intitolato “Longtermist institutional reform” allarga l’orizzonte coinvolgendo le generazioni future che ci supereranno di migliaia o milioni a uno (Fisher azzarda anche dei numeri, comunque interessanti).

Nel complesso, i loro interessi contano quindi enormemente, e tutto ciò che possiamo fare per guidare il futuro della civiltà su una traiettoria migliore è di enorme importanza morale. Riguardano il merito della responsabilità della politica, ben consapevoli che le decisioni politiche possono avere effetti duraturi sulla vita e sul benessere delle generazioni future.

Ciò nonostante, le istituzioni politiche tendono a prendere decisioni a breve termine tenendo a mente solo la generazione attuale – o come più spesso accade – l’attuale ciclo elettorale. Qual è generalmente parlando la prospettiva di futuro alla quale siamo abituati?

Nel settembre 2006 fu pubblicata una ricerca sulle nostre rappresentazioni del futuro curata da Bruce Tonn e Angela Hemrik, docenti del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università del Tennessee, in collaborazione con Fred Conrad che insegna Psicologia all’Università del Michigan.

I risultati del sondaggio, svolto su un campione di popolazione proveniente da ventiquattro Paesi, mostrano che quando gli intervistati sentono la parola “futuro” pensano a un periodo di dieci anni, in media con punte massime di quindici anni.

Gli intervistati pensano meno al futuro che al presente ma, d’altra parte, tendono a preoccuparsi più del futuro che del presente. Emerge inoltre che immaginano che il futuro diventi oscuro intorno ai quindici o vent’anni anni.

Peraltro, la paura dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, le guerre in corso e altri conflitti meno presenti sulle cronache (Yemen e altri otto Paesi africani), l’aumento delle diseguaglianze, la crescente disaffezione alla politica e altri cambiamenti socioculturali non hanno certo giocato a favore nell’allontanare il futuro oscuro spingendoci, viceversa, a concentrarci sempre più sul presente e sul presente del giorno dopo.

La spinta alla sostenibilità ambientale è l’elemento che più travalica la brevità temporale del pensiero sociopolitico e aziendale e sembra traguardare l’interesse delle future generazioni. Una prima positiva spinta alla visione lunga. Ma non basta.

Il mondo è pieno di asimmetrie culturali, politiche, economiche, sociali peraltro di sempre maggiore intensità con ancora seicentosettantacinque milioni di cittadini che vivono senza elettricità (fonte: Banca Mondiale 2023) e con l’un per cento più ricco della popolazione mondiale che detiene il 45,6 per cento della ricchezza globale (Rapporto Oxfam 2023).

La lotta fratricida per la ricchezza e il potere sembra, sia nel piccolo sia nel grande, in costante aumento e gli esempi si sprecano.

Una buona notizia invece – primo esempio in assoluto a livello mondiale – è stata l’istituzione nel Galles nel 2016 del Commissario per le Generazioni Future (Future Generations Commissioner) incaricato di garantire che le istituzioni pubbliche del paese prendano in considerazione il modo in cui le loro azioni influiscono sui cittadini gallesi che non sono ancora nati. Sophie Howe è stata la prima commissaria per le generazioni future per il Galles dal 2016 al gennaio 2023. Con un passato professionale di consigliere politico speciale e vicecommissario di polizia, è intervenuta sulla pianificazione dei trasporti, sulla riforma dell’istruzione, sull’uguaglianza di genere e razziale e sul cambiamento climatico.

Altre nazioni stanno seguendo l’esempio del Galles. Nel settembre 2021 la Scozia ha annunciato che anch’essa avrebbe presto nominato un Commissario per le generazioni future mentre il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha approvato una proposta per un “Inviato speciale” Onu per le generazioni future, che potrebbe avere un impatto sui centonovantatré Stati membri.

Howe ha detto: «Il nostro obiettivo di un Galles prospero ci allontana da un’ossessione per il Pil verso l’attenzione al benessere. Parliamo di una società produttiva, innovativa e a basse emissioni di carbonio, che utilizza le risorse in modo efficiente e agisce proporzionalmente sul cambiamento climatico. Parliamo di competenze e accesso a un lavoro dignitoso (…). Ci siamo avvicinati il più possibile, in un sistema democratico, a un approccio a lungo termine, e pensiamo che sia ciò che è necessario in tutto il mondo».

Nel suo libro Fisher cita con una certa ammirazione un’iniziativa dell’artista scozzese Katie Paterson, che ha fondato un progetto nel 2014 che si chiama “Future Library”. Il progetto invita gli autori a livello globale ogni anno a presentare un manoscritto che nessuno leggerà fino all’anno 2114. Il primo autore è stata Margaret Atwood a cui sono seguiti diversi altri. Iniziativa provocatoria ma che sicuramente invita a riflettere.

Fisher insiste nell’evidenziare il tratto del tempo che collega l’umanità e il senso di responsabilità che non può non esserci: «Ci sono state critiche al pensiero a lungo termine, accusato di essere evasione o semplicemente elitario. Ma se davvero fai sintesi, la visione a lungo termine per me riguarda la connessione tra le persone che sono venute prima di te e le persone che ti seguiranno. Esistiamo oggi a causa di una catena di conseguenze e decisioni da parte delle persone che ci hanno preceduto, e questo porta a un dovere verso i posteri e a un atteggiamento responsabile».

Invece viviamo nel migliore dei casi in un «presente esteso», per citare Lucian Hölscher, professore emerito di Storia Moderna e Teoria della Storia all’Università di Bochum in Germania.

Un presente «esteso» e «drogato» da un pregiudizio cognitivo che gli esperti chiamano «euristica della disponibilità» che si fonda sul fatto che siamo più propensi a immaginare un futuro attraverso la lente degli eventi recenti.

Una lente oggi che spesso è costituita “solo” dal nostro smartphone che concentra la salienza attraverso polemiche politiche di basso profilo, immagini e video di life-style poco probabili e accessibili a pochi, guerre e criminalità, violenze e degenerazioni, una indigestione di notizie (infomania) di ogni genere che inevitabilmente, per le ansie e la confusione che generano, ci portano a ridurre la nostra capacità di pensare a lungo termine concentrando la nostra attenzione sul presente, un presente esteso che riduce l’umano pensiero al carpe diem, con uno scarso o nullo senso di responsabilità per le generazioni che verranno.

Nell’ultimo capitolo del libro Fisher sottolinea una serie di vantaggi e benefici «attuali» legati a una visione a lungo termine. La visione a lungo termine – scrive – è riparatrice, apre la strada, rende il presente più significativo, può essere accessibile a tutti, è democratica, può essere politicamente unificante, porta a un miglior «consumo mediatico», fornisce un quadro più chiaro del progresso, è un motore di speranza. Mai come oggi questo «motore di speranza» basato sui nostri comportamenti responsabili è essenziale per il nostro futuro, il futuro dei nostri figli, dei nostri nipoti e delle generazioni che seguiranno.

Questo ricorda un altro libro – “Timefulness” – scritto nel 2018 da Marcia Bjornerud, docente di Geologia alla Lawrence University nel Wisconsin.

«Timefulness è vedere il presente come un piccolo dettaglio in una grande somma complessa», così la recensione sul Wall Street Journal nel dicembre 2018 a firma di Robert M. Thorson anche lui Professore di Geologia ma all’Università del Connecticut. Thorson mette l’accento sul sottotitolo del libro: “Come pensare come un geologo può aiutare a salvare il mondo”.

Chi studia geologia appare avvantaggiato nello sviluppare questo senso di responsabilità multigenerazionale capace di coniugare passato, presente e futuro, incernierando una diversa concezione del tempo. Che debba diventare un requisito obbligatorio per chi voglia fare politica?

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