Il triangolo nordicoLa corsa a tre per la presidenza dell’Islanda

Il primo giugno si vota a turno unico e l’esito è incerto. L’ex primo ministro Jakobsdottir si gioca la prima carica dell’isola contro il politologo Thorhalsson e l’ex sindaco della capitale Gnarr

(La Presse)

Saranno elezioni presidenziali combattute e dall’esito molto incerto. Vale per gli Stati Uniti, dove almeno fino a novembre la Casa Bianca rimarrà in mani democratiche, e vale per l’Islanda che porta alle urne un millesimo degli elettori statunitensi, ma la cui politica ha già visto un clamoroso ribaltone alla guida del Paese in vista del voto del primo giugno. Tutto a causa della decisione della premier Katrin Jakobsdottir di candidarsi a presidente della Repubblica, un annuncio arrivato a sorpresa e senza nessuna reale esigenza, se non forse un certo opportunismo dettato dalle circostanze. Jakobsdottir, martedì 9 aprile, si è dimessa dal ruolo di capo del governo per lanciare la sua corsa presidenziale.

Prima di entrare nei dettagli, un po’ di contesto: Jakobsdottir (del partito di Sinistra verde) è stata per sette anni a capo di un governo di larghe intese con l’equivalente islandese del Partito repubblicano americano, il Partito dell’Indipendenza guidato dal potentissimo e chiacchieratissimo Bjarni Benediktsson (che è diventato il nuovo premier), e con i centristi del Partito progressista. La coalizione di governo, caratterizzata da divisioni ideologiche fra i tre partiti, è fondata sostanzialmente sul comune approccio in termini di politica estera, volta a tenere l’Islanda fuori dall’Unione europea e, nonostante i malumori di Jakobsdottir, dentro la Nato.

«Non è una sorpresa che il governo di coalizione continui, ma Benediktsson è probabilmente il politico più impopolare in Islanda», spiega Thordur Snær Juliusson, caporedattore della testata Heimildin. «Guiderà un governo piuttosto disfunzionale, che non è stato d’accordo su nulla per molto tempo. Se oggi si andasse alle elezioni, i tre partiti assieme perderebbero il ventitré per cento e Sinistra verde rischia di finire sotto la soglia di sbarramento».

Il presidente della Repubblica, che in Islanda ha un ruolo simile a quello italiano, è Gudni Johannesson, in carica dal 2016. Johannesson, di professione ricercatore universitario specializzato in Storia, non appartiene a nessun partito politico e gode di una certa popolarità anche grazie al suo approccio alla mano (alcuni anni fa propose scherzosamente di rendere illegale l’ananas sulla pizza, per la gioia dei lettori italiani), ma ha deciso di non ricandidarsi nel giugno di quest’anno, sebbene non esista nessun limite ai mandati presidenziali.

Birgir Gudmundsson, docente presso la facoltà di Scienze sociali all’università di Akureyri, commenta così il panorama politico islandese di questi giorni: «È una mossa altamente inusuale quella di Jakobsdottir, probabilmente era stanca di svolgere il ruolo di mediatrice in un Governo all’interno del quale siedono gli estremi opposti dello spettro politico e, essendo disponibile solo per questo breve periodo di tempo la finestra delle presidenziali, non si è lasciata sfuggire l’occasione, anche se non è certo garantito che sarà eletta».

Fino a pochi giorni fa, la partita delle presidenziali sembrava una questione fra il politologo Baldur Thorhalsson e l’ex sindaco di Reykjavik Jon Gnarr, un ex personaggio televisivo che si è buttato in politica ed oggi rappresenta il Partito socialdemocratico. Contestualmente, il consenso nei confronti della coalizione di Governo, in particolare di Sinistra verde, è colato a picco dopo le ultime elezioni di tre anni fa e nessuno dei tre partiti sembrava in grado di offrire una figura in grado di contrastare i due principali rivali.

La candidatura di Gnarr è stata accolta positivamente soprattutto dai giovani, memori anche del suo periodo come sindaco della capitale e delle sue performance e battute fuori dagli schemi, ma il favorito sembrava essere Baldur Thorhalsson, che ha rapidamente conquistato l’opinione pubblica attraverso i social media grazie anche al suo approccio critico nei confronti dell’establishment islandese. «Thorhallsson è un intellettuale – spiega Juliusson – una figura rispettabile ed è sicuramente una novità, ma ha lanciato la sua candidatura in coppia con il marito Felix Bergsson in una sorta di ticket. Sicuramente l’elettorato progressista lo vede con favore, ma il resto della popolazione potrebbe rimanere meno sensibile, anche perché i diritti Lgbtqi+ in Islanda ormai non sono più materia di dibattito».

Il principale ambito di lavoro di Thorhalsson è il ruolo dei piccoli Paesi all’interno dell’Unione europea e, sebbene il presidente della Repubblica non abbia potere decisionale in termini di politica estera, la sua figura potrebbe essere quella destinata a controfirmare provvedimenti importanti in tal senso. Ad oggi, Thorhallsson è testa a testa con la new entry Jakobsdottir per la presidenza dell’isola.

Il terzo incomodo è l’ex sindaco di Reykjavik: «Per fare un parallelo italiano, Jon Gnarr ricorda molto il primo Beppe Grillo, anche se adesso è più legato all’establishment. È molto popolare fra i giovani». E se Gnarr dovesse diventare presidente, il suo stile sarebbe una novità in un contesto internazionale: l’ex primo cittadino di Reykjavik, ricorda Juliusson, era arrivato a mettere in imbarazzo l’allora sindaco di Pechino durante una visita ufficiale, chiedendo la liberazione del dissidente politico Liu Xiaobo.

«Quando l’Islanda ha inviato la richiesta nel 2009, avevamo un governo di minoranza di cui solo una parte era favorevole all’accesso nell’Unione europea – chiarisce Juliusson – ma da due anni a questa parte c’è una maggioranza nel paese favorevole all’entrata in Europa. Bisognerà però vedere se si concretizzerà una maggioranza in parlamento il prossimo anno. Oggi come oggi, i socialdemocratici vincerebbero le elezioni e loro, con i liberali, sono favorevoli, non è chiaro però se la nuova leader, Kristrun Frostadottir, la indicherà come una priorità». Nel caso diventasse una priorità, secondo Juliusson si avrebbero due referendum: «Uno per riavviare le trattative, un altro al termine dei negoziati di accesso».

L’Islanda, reduce da una violenta crisi bancaria avvenuta contemporaneamente al collasso della Lehman Brothers, ha interrotto i negoziati per l’accesso all’Unione europea in seguito alla vittoria del blocco euroscettico nel 2013 (all’epoca senza Sinistra verde) e tale scelta è stata confermata anche alle tornate successive.

Il voto islandese, che anticipa di una settimana quello per le elezioni europee nel resto del continente, si distinguerà da molti altri anche per la presenza di un turno unico, in cui potrebbe essere eletto anche un candidato molto al di sotto del cinquanta per cento. «Molti si chiedono se Gnarr porterà via più voti a Jakobsdottir o a Thorhalsson – conclude Gudmundsson – e in un’elezione dove viene eletto il candidato vincente al primo turno, può fare un’enorme differenza».

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