Ancor prima dei Re taumaturghi, capolavoro storiografico pubblicato nel 1924, c’è un’altra e più agile pubblicazione in cui Marc Bloch indaga l’evoluzione delle fake news in un contesto molto particolare: Riflessioni di uno storico sulle false notizie della guerra, apparso nel 1921 sulla «Revue de synthèse historique». Questo saggio rappresenta un punto fermo per chiunque volesse addentrarsi nel mondo delle false notizie. La guerra a cui fa riferimento nel titolo non è un conflitto lontano nel tempo, distante decenni o secoli, da cui ci si è scostati abbastanza per poterne leggere nitidamente i contorni e le complessità. Al contrario, si tratta proprio della recentissima Prima guerra mondiale, terminata all’epoca da soli tre anni.
Bloch aveva partecipato in prima persona al conflitto. Nel 1914 ha ventotto anni, è un giovane professore di Storia in un liceo di Amiens, quando nell’agosto dello stesso anno, al momento della dichiarazione di guerra mossa dalla Germania alla Francia, decide di arruolarsi volontario e partire per il fronte. La guerra segna irreversibilmente quello che presto diventerà uno dei più grandi storici d’Europa, che proprio al fronte però inizia a scrutarne le dinamiche psichiche, indagando lo svolgersi del conflitto come un «immenso esperimento di psicologia sociale», prendendo in prestito le sue parole.
Come migliaia di soldati, anche Bloch impugna la penna e si lascia andare a un gesto rivoluzionario, consolatorio e catartico per una generazione di giovani chiamati a combattere lungo confini spesso ignoti: scrivere. Il suono degli spari, l’eco delle battaglie, il compagno accanto che muore, senza nome, o ancora la paura negli occhi di chi sopravvive; è attraverso i dettagli che prende forma il mosaico del racconto nei diari, nelle lettere o nelle memorie di guerra. Le giornate miracolosamente arrivate a sera sono impresse su carta, immortalate nella speranza che se anche la vita dovesse finire in quel momento almeno una testimonianza potrà forse continuare a parlare.
È proprio la testimonianza l’elemento ispiratore delle riflessioni di Marc Bloch. Nel suo ripensare l’esperienza individuale della guerra come un oggetto di studio storiografico, l’analisi dell’humus psicologico in cui fermenta la testimonianza diventa centrale. Quel microscopico frammento di un evento grandissimo è la soggettiva di un testimone di fronte alla storia. È la visione del singolo che sta vivendo la propria sfaccettata vicenda umana, pregna di personali criteri e interpretazioni del mondo, immerso nel mare degli avvenimenti che costituiranno il passato comune delle generazioni a venire. Allora per Bloch si pone il quesito fondamentale: «Su quali punti un testimone sincero e che ritiene di dire la verità merita d’essere creduto?» Non sempre chi racconta è consapevole di mentire. Ancor prima della veridicità di un fatto, la questione per Bloch risiede dunque nell’attendibilità delle fonti.
Nelle trincee, dove storie, racconti, informazioni circolavano di bocca in bocca, attraverso un rinnovo continuo della tradizione orale e delle sue lacune, nascevano e si diffondevano false notizie dal sapore simile a miti e leggende. Basti pensare a quando durante la ritirata britannica nell’agosto del 1914 a Mons, in Belgio, si credeva fossero apparsi degli angeli per proteggere i soldati inglesi e uccidere, con frecce invisibili, quelli tedeschi. Oppure la storia celebre tra le file di tutti gli schieramenti dei «disertori pazzi». Si pensava che un battaglione di squilibrati appartenesse a ogni esercito e che questi disertori, nascosti tra le due linee, uscissero di notte per saccheggiare dei loro averi i morti sul campo. O ancora, le diverse voci sulla brutalità dei belgi, che spinsero i tedeschi, dopo aver invaso il Belgio nel 1914, a mettere a ferro e fuoco il paese. Episodi non vissuti in prima persona ma trasmessi per sentito dire, che nella peggiore delle ipotesi diventano volano di eventi drammatici.
Dalla Donazione di Costantino alla provetta di Colin Powell, passando per la pubblicazione dei Protocolli dei Savi di Sion e l’incidente del Tonchino. Ripercorrendo epoche diverse abbiamo esplorato quattro tra i piú eclatanti casi di falsi storici osservandoli principalmente dalla prospettiva del potere in questione che ha prodotto e diffuso tali menzogne. L’analisi di Bloch ci permette, invece, di rovesciare il punto di vista a riguardo e di ampliarlo riflettendo, non solo sul soggetto che produce falsa notizia, ma anche e soprattutto sulla controparte: le masse che accolgono, introiettano e veicolano queste false notizie partecipando inconsapevolmente alla costruzione e diffusione di esse. Bloch sposta l’attenzione da chi produce le notizie a chi le veicola, interessato a esaminare non tanto quelle create a tavolino, quanto quelle sgorgate spontaneamente dalle credenze della società.
C’è di più: spesso le fake news propagano quelle voci che la società o una determinata categoria vuole sentirsi dire. Nel confuso tam tam della Prima guerra mondiale i soldati proiettano i loro riflessi psicologici, le paure, i desideri. Ed è in quel momento allora che appaiono gli angeli in battaglia e uccidono i nemici. Oppure è cosí che i fanti tedeschi, terrorizzati da anni e anni di racconti sugli agguerriti civili francesi in armi nel conflitto franco-prussiano, appena entrati in Belgio alla vista di strani fori sulle pareti delle case sono convinti che sia proprio da quelle feritoie che potrebbero sparare i «franchi tiratori». Si tratta in verità di semplici elementi architettonici dietro ai quali non si nasconde nulla, ma la percezione della realtà da parte dei soldati tedeschi è talmente alterata da lasciarsi andare, quasi preventivamente, a efferati crimini di guerra contro i civili. Quando la comprensione della realtà tentenna e attraverso l’immaginazione si cercano risposte, basta niente per generare la falsa notizia.
Bloch si interroga su come e perché queste attecchiscano e individua nei grandi stati d’animo collettivi l’humus che permette ai pregiudizi di trasformare una cattiva percezione in leggenda, la quale, a sua volta, mette radici profonde nella società divenendo una verità condivisa difficile da sradicare. L’interrogativo di Bloch è trasversale nel tempo e nello spazio, vale per tutte le epoche e in tutte le epoche c’è stato terreno fertile per accogliere e far prosperare menzogne travestite da verosimiglianza. Non solo, è un quesito che ha valore sia in senso retrospettivo, per indagare la psicologia collettiva del passato, ma anche in termini puramente contemporanei.
E, dunque, anche il nostro presente è terreno fertile? E per quale tipo di mistificazioni? Dovremmo sondare costantemente e criticamente lo stato d’animo collettivo del nostro tempo, misurare la febbre della società, per cercare di comprendere desideri e timori capaci di condurci al cospetto di un qualcosa contro cui non c’è antidoto: le fake news.
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