Fra antilopi e giaguariL’arroganza di Ikea e il coraggio di dire no

E' successo un paio di settimane fa che giornali, parroci, amministratori locali, si siano scagliati contro il Presidente dalle Provincia di Torino, Antonio Saitta, reo di non aver concesso terren...

E’ successo un paio di settimane fa che giornali, parroci, amministratori locali, si siano scagliati contro il Presidente dalle Provincia di Torino, Antonio Saitta, reo di non aver concesso terreni agricoli alla multinazionale svedese per uno dei suoi megastore blu elettrico da centottantamila metri quadri. “Fate il vostro stabile – aveva detto Saitta – ma fatelo in area commerciale, visto il consumo del suolo nel torinese non ci consente di compromettere altre aree libere da capannoni”.

La reazione di un’azienda, abituata a fare quello che vuole in giro per il mondo è stata scomposta, tra accuse di veti incomprensibili e attacchi alla politica che non fa investire in Italia, ha annunciato l’addio all’investimento da 70 milioni di euro e 250 posti di lavoro. Sullo stesso tono i grandi giornali, fieri difensori dei diritti dei cittadini soprattutto quando questi sono ricchi investitori pubblicitari. “Ikea si ribella ai diktat dell’Italia” tuona la Stampa, “In fumo 300 posti di lavoro” dice Repubblica, “Ancora sviluppo negato, Torino non vuole Ikea” si rammarica il Sole24ore, mentre il Giornale, che tanto che c’è aumenta l’investimento a 100 milioni di euro e i posti di lavoro a 350, si avventura in un’interessante interpretazione antropologica “Perché la sinistra odia Ikea”.

Ora, mettiamo che un conoscente arrivi a casa vostra in un caldo pomeriggio di agosto con due belle birre ghiacciate e chieda in cambio di darsi una rinfrescata. Chiaramente all’inizio acconsentireste senza fare problemi. Mettiamo però che il vostro conoscente pretenda di lavarsi le ascelle nel lavello della vostra cucina, quello che usate per lavare i piatti. Direste allo scroccone che se si vuole rinfrescare può usare il bagno o che altrimenti può levarsi dai piedi con le sue ambrate fermentazioni di luppolo.

Quello che ha fatto la provincia di Torino è stato dire no ad un atto di arroganza, ad una potenza economica che se ne frega di vincoli e regole e che pretende di fare come vuole, giustificando ogni angheria col fatto di portare posti di lavoro. Sarebbe interessante sapere cosa pensino dei nuovi posti di lavoro Ikea i mobilieri della zona o capire se qualcuno degli avvocati d’ufficio di Ikea si sia posto il problema che anche l’agricoltura (quella strana disciplina da cui dipende la nostra sopravvivenza) debba essere aiutata e valorizzata, in primo luogo conservandone i terreni dedicati.

“In Slovenia e in Usa i terreni ce li regalano, lì sì che si può investire”, si lamenta Ikea. Che posto meraviglioso sarebbe un mondo in cui l’unico lavoratore fosse quello al minimo sindacale, con la camicetta gialla d’ordinanza e il sorriso smagliante; che in pausa pranzo mangia le sue splendide polpette Kottbullar desurgelate al ristorante svedese e che passa i giorni liberi a montare librerie Billy a casa degli amici.

Eh già, che bello.