Ci siamo. Con l’ Election Tuesday di domani sei Novembre si chiude il lungo iter elettorale americano iniziato già da tempo con il voto anticipato in molti Stati.
Molto è stato detto sulle linee guida di politica estera espresse dai due contendenti e giustamente è stato sottolineato come, per sfortuna di Obama e per fortuna di Romney, in questa tornata del 2012, la proiezione internazionale degli Stati Uniti interessi assai marginalmente il popolo americano. Dico per fortuna di Romney per vari ed evidenti motivi: il candidato repubblicano ha mostrato la solita, cronica e tipicamente americana scarsa percezione geografica della situazione internazionale; inoltre, gran parte dell’elettorato che ha votato e voterà per Mitt viene da quella parte di America che attualmente sta peggio. Viene difficile pensare che un elettore medio dello Stato del Mississipi- sanità a pezzi, uno dei redditi pro capite più bassi dell’Unione, una leggera propensione all’estremizzazione culturale e forte connotazione rurale- si interessi di come il governo centrale possa “prendere a calci” gli iraniani o competere economicamente con i cinesi.
Molti analisti sostengono che oggigiorno la politica estera dei democratici e dei repubblicani tenda a coincidere nei bersagli e negli obbiettivi di lungo periodo. David Aaron Miller, dalle pagine dell‘International Herald Tribune di qualche giorno fa, evidenziava come oramai vi sia una condivisa comprensione di cosa si debba fare in politica estera e che quindi in tale settore Obama e Romney sostanzialmente si equivalgano.
Tale pensiero, a mio giudizio, esprime solo parzialmente la situazione. Sono gli obbiettivi conclamati- uscire dignitosamente dal pantano mediorientale e specie dal nucleare iraniano, contenere e sfruttare l’ascesa economica cinese, salvaguardare il predominio economico in America Latina- a unire gli intenti dei due principali partiti; non viceversa. Per ribattere a Miller si potrebbe dire che mai come ora la situazione internazionale porti unità di intenti nella politica estera americana.
Eppure, molto di diverso, a ben vedere, si ritrova nell’impostazione estera dei due candidati e dei due schieramenti. Lo si percepisce soprattutto nelle esternazioni del terzo dibattito televisivo, dove i medesimi argomenti sono stati trattati sotto diversa luce denotando una radicale, divergente prospettiva, che si può definire “geo-culturale”.
Questa analisi prospettica presenta una duplice positività: ci libera dalla diatriba sull’efficacia o meno del soft power diplomatico contrapposto all’approccio muscolare dell’hard power o sulla loro sintesi obamiana trasposta nel cosiddetto smart power e ci conduce al tempo stesso a una visione geopolitica, nel senso “sano” del termine, del quadro concettuale internazionale dei due contendenti alla White House.
Sinteticamente, Obama contrappone una fluidità interpretativa dei rapporti strategici fondata sull’adattamento alla situazione contingente, sul modello dell’approccio convergente e dinamico tracciato tempo addietro da Mahan nell’illustrazione del suo “sea power”. Riduzione della spesa nella Difesa, accompagnata da un ammodernamento nella ricerca, implementazione della “guerra tecnologica” che ha nei droni e nel cyber-attack due elementi chiave, una Marina snella e adatta a situazioni diverse, dall’attacco asimmetrico ipotizzabile contro il naviglio leggero iraniano alla possibile contrapposizione con la marina classica cinese.
Nel feroce dibattito su “horses and bayonets” tale impostazione si scontra con quella attuale repubblicana più “quantitativa”, basata sull’occupazione fisica del territorio con un’esibizione manifesta delle forze disponibili, un’idea che trova origine dall’interpretazione dell’avanzamento della frontiera, del vacuum da occupare, della linea fisica dell’America da proteggere.
Romney e, successivamente, il junior senator della Florida Marco Rubio, hanno profondamente criticato la riduzione quantitativa proposta da Obama. Il candidato repubblicano ha parlato di ampliare la costruzione annuale di navi portandola da nove a quindici; Rubio ha ribattuto a Obama sostenendo che il riferimento a baionette e cavalli ledesse l’immagine della Marina.
Perchè l’equazione tanto= buono attira ancora i repubblicani?
L’adattamento in base alle contingenze trova profonde critiche nel calcolo grossolano che, specie nel profondo Sud e nel Mid West degli USA , viene fatto dell’America intesa come potenza indeclinabile e imperitura.
Siamo sempre lì: analisi storica e geografica permetterebbero di capire che un nuovo American Century non è più possibile nel senso inteso da molti americani. Certo, Obama avrebbe potuto raccogliere migliori frutti in termine di maggiore amicizia verso gli Stati Uniti nel quadro Medio Orientale; ma è un programma di lavoro che richiede tempo e non si può esaurire in quattro anni, specie dopo i danni delle due amministrazioni Bush.
L’idea repubblicana di un approccio americano-centrico, interpretando geopoliticamente l’America ancora Heartland del globo ( povero Mackinder) comporta errori prospettici rilevanti. Quale il senso di un aumento di flotta nel Pacifico quando la Cina possiede ancora una sola Portaerei? Quale la logica di prevedere aumenti di spesa nella Difesa nel quadro NATO, chiedendo agli alleati europei un incremento dei fondi ( in tempi di crisi appare improponibile).?
Adattabilità non significa debolezza, significa comprensione globale della situazione, significa un approccio più mirato, chiaramente non infallibile, ma certo più centrato ed efficiente in un mondo come quello attuale, dove le variabili sono molte più di quelle che Romney comprende.
Concludendo, a conferma della chiusura concettuale della proposta repubblicana, diversa, come si è detto, non negli obbiettivi finali ma nell’ideologia di fondo, da quella democratica, viene in mente uno studio recente apparso nel “Secolo XIX” sulla ripetizione di certi termini dei due candidati alla Presidenza durante la campagna elettorale. Obama si è barcamenato tra ” fare, piano, progetto, idea, nuovo, riferimento”; per Romney un duro e puro ” americani, Presidente, America, America, America”.