Ripercorrere la Storia in cerca di alcuni elementi che possano contribuire a elaborare una risposta a un determinato quesito sul presente può risultare un esercizio stimolante, ma dannatamente pericoloso.
Il rischio di ridursi ad adattare i fatti del passato alle proprie teorie è, infatti, dietro l’angolo. Questa situazione, assolutamente da rifuggire, porta alla necessaria considerazione che esempi storici, metri di paragone, comparazione e di riscontro siano da scegliere con la massima cura.
Indagare le azioni umane passate si concretizza in particolare nell’ incontrare sia figure insignificanti sia personalità talmente rilevanti da aver lasciato un segno tangibile ancora oggi. Proprio sulle cosiddette genialità del Passato bisogna concentrarsi, soprattutto quando ripercorrere le loro scelte e le loro azioni con spirito critico diviene propedeutico per discernere determinati loro errori. Più l’aurea di chi compie l’errore è grande, più l’errore commesso diviene altisonante, importante e avvincente a spiegarsi. Soprattutto diviene innegabile lectio historiae e quindi la tanto sospirata risposta alla domanda di base. Con i dovuti distinguo.
La lectio che qui si vuole affrontare non è la mera distinzione, scontata e vieppiùsviscerata, tra tattica e strategia, bensì il difficile rapporto tra l’elaborazione di una strategia, che sia essa bellica o politica, e la comprensione globale del contesto di riferimento, nel quale la strategia elaborata dovrebbe svilupparsi.
Con questo obiettivo prefissato, forse la figura storica che più di ogni altra viene insoccorso per ben enucleare la problematica in esame è quella di Napoleone Bonaparte, Imperatore dei Francesi e genio incontrastato di tattica militare per quasi un ventennio.
Utilizzare Napoleone come metro di paragone e di confronto per il rapporto strategia/contesto ha innegabili pregi e benefici. In primo luogo la statura ( quella politica e militare, non quella fisica..) del personaggio impone una riflessione a tutto tondo su quanto rimane dell’eredità napoleonica, permettendo di comprendere appieno la realtà ancora oggi permeata dall’operato dell’uomo di Ajaccio. In secondo luogo, come si vedrà, rapido e immediato diviene il richiamo tra Napoleone e alcuni eminenti capifila della nostra classe politica italiana.
Fortunatamente per il genio corso, capace anche di rielaborare la struttura amministrativa di Francia e d’ introdurre quello che sarebbe divenuto l’equilibratissimo Code napoléon, le analogie con i leader della classe politica italiana si fermano solo alla macro-questione oggetto di questa disamina.
Dopo le travolgenti vittorie , prima fra tutte Austerlitz, il suo capolavoro tattico,chiaro divenne la capacità esprimibile dal Bonaparte. La struttura armata, la Grande Armée, era dotata di enorme slancio e ferocia combattiva;l’artiglieria veniva manovrata con rivoluzionario acume ( frutto dell’esperienza in tale Arma da parte di Napoleone stesso in gioventù); la capacità di individuare sempre il punto debole dell’avversario e colpirlo con le sue due manovre classiche, in attacco la “manoevre sur le derrières” , in difesa la posizione centrale, metteva spesso in condizione il nemico di compiere quello che Napoleone chiamava ” il fatto”, l’errore avversario che portava alla vittoria francese.
Napoleone era una personalità complessa, dotata di un’intelligenza portentosa, un intuito innato e capacità innicomprensive. Non è certo un caso se Jerry Manas, nel 2007 ha realizzato il volume “ Napoleone e il Management, lezioni di pianificazione, esecuzione e leadership”, proprio basandosi sulla competenza corale dell’Imperatore.
A ben vedere, però, si trattava di una capacità che si esplicava più sul pianoorizzontale delle diverse discipline, che sul piano verticale della profondità strategica. Napoleone eccelleva in quello che faceva, soprattutto perché aveva di fronte avversari di livello infinitamente inferiore – a parte Nelson che sconfisse le flotte francesi due volte ad Abukir e a Trafalgar e soprattutto il duca di Wellington, capace di battere Napoleone sia in Spagna sia poi a Waterloo-.
Forse è vero il detto per il quale “uno dei tratti del Genio è di essere convinti di avere sempre ragione”. Ad ogni modo, se la sua capacità di tattico non fu mai in discussione, lo fu il suo approccio al contesto, quel contesto per esempio ignorato quando, incoscientemente, l’Imperatore intraprese la campagna di Russia, che fu l’inizio della sua fine. A determinare la sconfitta fu la limitatezza nel comprendere fino in fondo i fenomeni della geopolitica e della strategia applicata al territorio e non solo esclusivamente basata sul nemico di fronte. La campagna di Russia nacque da un altro grande errore di Napoleone, la presunzione di imporre alle potenze continentali il blocco marittimo dei prodotti inglesi. Da qui la sua stima approssimativa dei rapporti di forza sottostanti ai conflitti maggiori.
In estrema sintesi- e per riagganciarsi alle tematiche della politica italiana attuale- non sempre una strategia vincente rimane tale, se si ignora il contesto in cui essa opera. Qualsiasi strategia deve prendere in considerazione i fattori esterni e interni capaci di risultare determinanti per il risultato finale.
La strategia richiede una conoscenza approfondita dei punti forza e di debolezza, propri e dell’avversario. Aspettarsi sempre l’errore, “il fatto” da parte dell’avversario, legare in qualche modo la tua sorte all’azione del nemico, non sempre funziona, come amaramente Napoleone comprese a Waterloo, quando si stupì dell’assenza di azioni poco accorte da parte di Wellington. L’analisi dei punti di forza deve essere fatta ad ampio raggio, ossia deve essere effettuata valutando pro e contro dei singoli aspetti di forza- sembra assurdo dirlo- e valutare se un punto di forza, in un determinato contesto, possa eventualmente trasformarsi in un elemento di debolezza, come lo slancio della fanteria francese si rivelò essere nei fanghi nevosi della Russia.
L’approccio del “non è detto che valga per sempre” sembra essere stato scarsamente preso in considerazione dalla classe politica dell’Italica penisola. La mancanza di rinnovamento nelle proprie strategie politiche, siano esse di comunicazione, di elaborazione di alleanze, di fidelizzazione dei gruppi di potere, poggia sulla miopia di base di non dover modificare quanto di efficace si possa essere espresso, o il modo in cui il proprio contenuto ( chi ne ha) sia stato veicolato. Così, a titolo di esempio introduttivo, per anni la sinistra ha aspettato la mossa, l’errore, dell’avversario, Berlusconi, nel modo similare in cui Napoleone sapeva che prima o poi qualcuno dei suoi avversari avrebbe toppato. Si sbagliavano entrambi. E ora i tempi sono cambiati. Non vi è più un Berlusconi da colpire, perchè il bersaglio che ora esso rappresenta è troppo piccolo.
Berlusconi ha dal canto suo eccessivamente puntato nel corso degli anni su una strategia comunicativa alla ” televendita”;vero, con merito per molto tempo essa ha dato dei frutti quasi insperati. Ma ormai l’alone di pessimismo e disqualifica che aleggia sul Cavaliere contribuisce mestamente a rendere il suo linguaggio accattivante e seducente l’arma ultima di una macchietta non capace di capire la fine politica giunta. Manca, in definitiva, la sua capacità di comprendere il contesto mutato, fatto che invece sembra essere stato compreso, per forza, dalla Lega Nord, con una nuova linea verde ( in tutti i sensi) .
Stessa figura meschina sembra ritagliarsi Grillo, il cui tono irato e il fanatismo da web 2.0 appaiono ora rivoltarsi contro. Troppo fiducia nei propri mezzi? Incapacità di comprendere l’arma a doppio taglio rappresentata dalla democraticità di internet?
Il Pd, sulla scia del rinnovamento renziano e delle primarie, è riuscito a invertireparzialmente la deriva dell’antipolitica, dinamizzandosi nei toni e nell’approccio aggregante, pur mantenendo una solida base identitaria. Chi forse avrebbe dovuto scaldarsi meno nei toni e nell’offerta espositiva è la corrente montiana, che doveva, a mio avviso, puntare maggiormente sulla sobrietà e sulla pacatezza ( per quanto il Professore si provi a bilanciare social media e old style).
Forse è proprio nell’oratoria di alcuni grandi leader politici che si vedono compiere le medesime “Russie” Napoleoniche. Spesso si sottolinea come per molti ” l’unico limite sia il ritenere di non averne”. Sbagliò l’Imperatore nel 1812 e poi nel 1815. Sbagliano ora in molti. E forse, per molti, le elezioni del 24 Febbraio saranno una sorta di “Generale Inverno”. La fine.