Parlare con i limoniLo stupratore di Velletri: storia di una psicosi collettiva.

L’incubo finisce il 20 marzo. La prova del DNA inchioda definitivamente Maher Djebali. E’ lui il responsabile dei due stupri che fra febbraio e marzo hanno terrorizzato tutta la vasta area compresa...

L’incubo finisce il 20 marzo. La prova del DNA inchioda definitivamente Maher Djebali. E’ lui il responsabile dei due stupri che fra febbraio e marzo hanno terrorizzato tutta la vasta area compresa fra le città di Roma e Latina. Piccole città di provincia, solitamente tranquille, che piombano per due mesi in un’atmosfera da romanzo di Stephen King.

Maher Djebali passerà alla storia criminale come lo “stupratore di Velletri”. Nella foto segnaletica ha le occhiaie, la faccia normale e i ricci neri. Incensurato, è sposato con un’italiana e vive nella cittadina dei Castelli Romani da molti anni. Il 2 febbraio compie la prima aggressione nel parcheggio di un supermercato. Minacciando una donna con un coltello, sale in auto con lui e la costringe a guidare fino ad un luogo in aperta campgna. Qui la donna viene violentata e rapinata delle fede nuziale e di poche decine di euro, la piccola somma che una persona può portare con sé. Poi si fa ricondurre a Velletri e si fa lasciare nella zona del cimitero.

Il 10 febbraio la seconda aggressione, sempre in un parcheggio. Una studentessa di 19 anni si trova nella sua auto in una centralissima piazza della città. Lo stupratore sale a bordo, la prende a pugni, si impossessa delle chiavi, guida fino ad un luogo isolato e stupra la ragazza.

All’inizio le notizie passano quasi inosservate, scivolando nel grande fiume della cronaca nera. Ma lentamente due stupri nella stessa settimana iniziano a far scricchiolare qualcosa. Il primo quotidiano ad annusare la tensione crescente è “Il Messaggero” che primo inizia a parlare di “stupratore seriale”.

Nel frattempo la paura cresce con armi più veloci e rapide dei giornali e delle indagini. Il tam tam mediatico, le voci, i sussurri, tutto contribuisce a spargere la notizia: attenzione, c’è uno stupratore seriale in giro! Si diffondono leggende metropolitane e bufale. Ogni giorno circola una voce nuova e diversa: lo stupratore ha colpito nel parcheggio Tal del Tali o in via Blablabla. Non è vero, ma la gente ci crede. Dicono che la polizia nascondi i reali casi di stupri per non spargere ulteriore panico.

Ma poiché siamo nel 2013 il terrore sfrutta anche la via dei social network per diffondersi: circolano molte notizie di falsi stupri, condite di volta in volta di particolari sempre più raccapriccianti (lo stupratore ha sfregiato il volto, lo stupratore ha tagliato un dito, lo stupratore ha aggredito con un bastone, lo stupratore ha ucciso la sua ultima vittima). C’è chi diffonde dettagli sull’uomo: è alto, è basso, è rumeno, è indiano, è moro, è biondo, ha i capelli lunghi, ha i capelli corti. Si sentono discorsi del tipo: “Io l’ho visto era davanti a quel centro commerciale, era così, così e così”. C’è gente convinta di riconoscere un maniaco dallo sguardo, altri dall’andatura.

La psicosi non riguarda solo la città di Velletri. Ben presto si spande, come una macchia untosa. La cappa di terrore puro coinvolge anche i comuni dei dintorni: Cisterna, Latina, Cori, Aprilia, Nettuno, Albano, Pavona, Genzano. Lo stupratore non si limita ad agire e a colpire nella città dov’era originario ma sembra spostarsi e voci false di stupri, aggressioni e omicidi vengono segnalate anche in questi comuni. Un giornale racconta il clima in cui vive, questi giorni, la comunità romena: lo stupratore viene indicato come uno di loro e temono linciaggi e pogrom.

In questo clima di follia crescente, qualcuno arriva a postare su Facebook due identikit. Sono due volti diversi, uno è un uomo dal volto squadrato, l’altra un ragazzo con un cappuccio di lana. Nessuno sa da dove siano spuntati, chi li abbia creati ma raggiungono una diffusione spaventosa, circa diecimila condivisioni. I caps lock che li accompagnano urlano quasi sempre frasi simili: è il bastardo, è lo stronzo, è il mostro. Segue l’elenco dei crimini, sempre diverso e dal numero sempre variabile.

La macchina dell’informazione si muove in maniera confusa e caotica. In pochi tentano di tranquillizzare, in molti si tuffano come sciacalli e iniziarono a riportare le chiacchere dei social, precisando sempre che “sono fonti non confermate”. Arrivano anche le telecamere della televisione nazionale, i giornalisti girano per la città e chiedono alle donne se hanno paura. Viene intervista una vittima, ha un vistoso livido sotto l’occhio e la cronista, senza vergogna e senza delicatezza, le domanda se è opera del maniaco. Un gustoso feticcio da esporre al suo pubblico assetato di sangue.

Nessuna ragazza esce da sola la sera, qualcuna si barrica in casa e cerca un fratello, un amico, un fidanzato per farsi proteggere. C’è chi si attrezza e nelle borse compaiono sassi e coltellini. Nei negozi compaiono cartelli: “Vendesi spray al peperoncino”, le palestre organizzano corsi d’autodifesa, nasce quasi un business inedito.

Le istituzioni tentano senza successo di riportare la calma. Il sindaco di Velletri convoca una conferenza stampa, ricorda che gli stupri realmente avvenuti sono soltanto due e che non è il caso di alimentare il panico con le bufale. Ma è un appello che cade nel vuoto.

L’8 marzo –festa della donna– la polizia cerca di rassicurare: smentisce ufficialmente i due identikit che circolano su Facebook e chiede alla popolazione di non perdere la testa. Riportano che alla fine di febbraio hanno ricevuto centinaia di segnalazioni inutili, talvolta basate su semplici impressioni. I due identikit poi procurano danni ben più gravi: due uomini a Latina vengono scambiati per i maniaci e sono costretti a presentarsi in commissario per accettare la loro innocenza, a Velletri succede di peggio, un uomo viene picchiato da alcuni giustizieri fai-da-te; anche lui con l’unica colpa di somigliare al tizio dell’identikit. Scene che ricordano la caccia agli untori nei Promessi Sposi, i capri espriatori accusati di diffondere la peste.

La squadra mobile, alla fine, è riuscita ad incastare il reale responsabile, rintracciando il cellulare rubato alla seconda vittima e lo hanno assicurano nelle mani della giustizia. Tutti sperano che riceverà una dura condanna per i suoi crimini.

Ma, alla fine di questa storia, servirebbe anche una seria riflessione su questa psicosi collettiva, sui meccanismi psicologici che regolano la paura, sulla facilità con cui si può tenere in pugno un’intera popolazione.

Più che la paura, giustificata, colpisce la rapidità con cui perdiamo ogni barlume della ragione, il nostro senso critico. L’irresponsabilità con cui clicchiamo sul tasto “condividi” di Facebook senza documentarci, senza informarci, senza neanche la voglia di farsi almeno un giretto su Google per capire se stiamo contribuendo alla verità o all’ennesima bufala. E’ c’è chi teme che un tale clamore spinga qualche mitomane a ripetere le imprese dello stupratore di Velletri.

Questa storia porta alla luce tante ipocrisie della nostra società: la falsa convizione, ad esempio, che gli stupri sono opera esclusiva degli immigrati, degli stranieri, dei diversi, pensare che ora che il maniaco, ovviamente tunisino, è in galera, possiamo rilassarci e non pensarci più. Far finta di non vedere, ad esempio, che la stragrande maggioranza delle violenze non avviene nei parcheggi ma in famiglia, fra le mura di casa, opera di un marito, di un fidanzato, un fratello, un padre, uno zio, un mostro che spesso, non solo non viene denunciato ma anzi viene giustificato e protetto. Servirebbe un lavoro culturale profondo: rendere tutti noi consapevoli del potere della comunicazione, anche se si tratta di un semplice post su Facebook; ed educare ognuno di noi al rispetto e alla tolleranza che meritano le donne come qualsiasi altro essere umano sulla Terra.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club