“Braccia rubate all’agricoltura”, secondo l’utilissimo “Glossario delle frasi fatte” di Wikipedia che riporta tutte le più note espressioni idiomatiche con relativa spiegazione, è definito quale “Motto ironico con cui si apostrofa una persona che svolge un lavoro intellettuale senza sembrarne all’altezza”. Non è chiaro se tale frase abbia avuto un qualche ruolo nella vicenda. Eppure c’è qualcuno, in Italia, che sembra quasi averla presa – provocatoriamente – alla lettera, cominciando a fare cultura, ergo il lavoro intellettuale par excellence, nelle serre, nei campi, nei capannoni e in tutti quei luoghi che, solitamente, vengono collegati, più che alla cultura, alla agricoltura: è il caso di Kronoteatro, associazione culturale, pluripremiata compagnia teatrale, gruppo di giovani e di amici istituito nel 2004 che, da quattro anni a questa parte, dà vita, organizza e promuove il festival “Terreni Creativi”. Ovvero, spettacoli in serra.
A pensarci bene, l’origine, come confermato dall’assonanza dei termini, è la medesima. Perché il sostantivo femminile singolare “agricoltura”, dal punto di vista etimologico, deriva dal latino agricultura, ovvero àger (campo) e cultura (coltivare), l’arte di coltivare i campi. E nella lingua italiana, “cultura” è un termine dotto che riprende la parola latina cultura, derivato dal verbo colere che significava coltivare. Insomma, un ritorno alle origini, un binomio già segnato da secoli, una affinità sostanziale e implicita. Eppure, mai nessuno, prima d’ora – anzi, prima del 2010, primo anno in cui si è svolto Terreni Creativi – aveva pensato di organizzare un festival in cui si celebra l’unione tra le due cose, tanto distanti quanto vicine tra loro. Perché ciò accadesse, si doveva aspettare l’intuizione geniale di Kronoteatro. Che, da quattro anni a questa parte, offre quello che è diventato un appuntamento ormai irrinunciabile, che racchiude in sé molteplici espressioni artistiche, dal teatro alle conversazioni, dalla danza contemporanea alle azioni performative, dalle installazioni ai concerti, il tutto in armonica fusione con gli ambienti lavorativi normalmente utilizzati per la produzione e per la commercializzazione dei prodotti della terra.
E se il binomio concettuale tra arte e realtà è tanto inedito quanto audace, non meno insolita è la location territoriale. Perché, quando si pensa all’agricoltura, vengono subito in mente regioni come la Puglia, un terzo della quale è destinato all’attività nei campi, o terre (nel vero senso della parola) di notoria vocazione agricola, quali il Piemonte o l’Abruzzo. Mai verrebbe da pensare alla piccola e impervia Liguria, piena di coste, di spiagge, di salite, discese e colline impossibili da coltivare. Eppure, anche nella regione costiera c’è una fortunata eccezione, una città della Riviera di ponente che, più che per la sua vocazione turistica, è nota in Italia e nel mondo per la sua (trainante) economia agricola: l’ex capoluogo romano Albium Ingaunum che oggi risponde al nome di Albenga. Le cui serre ospitano, con sempre maggior risposta da parte di critica, pubblico e stampa, le iniziative inserite nel programma del festival, con il necessario contributo delle aziende del settore, gli immancabili patrocini di tutti gli enti esistenti dal Comune alla Provincia alla Regione alla Camera di Commercio, e i finanziamenti di numerosi sponsor, ultima risorsa rimasta, in Italia, per la sopravvivenza del vivaio culturale.
Dove ogni giorno si lavora per la produzione e la vendita nel settore florovivaistico – o per la commercializzazione dei cosiddetti “quattro d’Albenga”, i prodotti tipici asparago violetto, carciofo spinoso, pomodoro cuore di bue e zucchina trombetta – per tre sere d’estate si concentrano teatro, degustazioni gastronomiche, monologhi, danza, spettacoli e musica dal vivo. Il risultato è tutto da vedere – e tutto da gustare – e, anno dopo anno, l’iniziativa cresce e riesce a ospitare nomi di maggior richiamo e di grande spessore qualitativo. Per l’edizione 2013 (in forse fino all’ultimo a causa delle difficoltà con cui chi opera nella cultura è costretto a convivere, giorno dopo giorno), il parterre è di notevole rilievo: le conversazioni dell’attore Angelo Romagnoli e il suo “Non leggete i libri, fateveli raccontare”, una raccolta di lezioni scritte da Luciano Bianciardi (1922-1971), scrittore e giornalista degli anni ’60; i Tony Clifton Circus e il loro folle spettacolo “Rubbish Rabbit”; il gruppo toscano Teatro Sotterraneo e lo show “Homo Ridens”; l’attrice Marta Cuscunà e “La semplicità ingannata”, satira facente parte del progetto sulle Resistenze femminili in Italia; la musica dal vivo con i concerti dell’Orchestra Bailam (“Harem Bailam”), del Cabit Trio (“Musiche e danze dal mondo”), dei balli del ventre di Ailema, con le danze della tradizione orientale; la danza, con “Germinazioni”, brevi frammenti tenuti dagli allievi della danzatrice genovese Nicoletta Bernardini.
La campagna pubblicitaria dell’edizione duemilatredici di “Terreni Creativi” mostra un dipendente di una ditta del settore, in una serra, circondato da fiori e piante in vaso, sotto una sfera specchiata (o palla a specchi, mirror ball) tipica delle discoteche anni ’70, di bianco vestito ma con i guanti verdi da lavoro, in una posa che ricorda quella, indimenticabile, di John Travolta sulla locandina di Saturday Night Fever, la Febbre del Sabato Sera. La canzone di sottofondo, che immediatamente torna alla mente davanti a questa immagine, è la popolarissima “Stayin’ Alive” dei Bee Gees. Restare in vita, essere vivi, sopravvivere, appunto. Cosa che, per chi lavora nel campo della cultura, è sempre più difficile. Ecco perché, anche per scongiurare l’infausta frase sulle “braccia rubate all’agricoltura”, la cultura va coltivata. E, per tale scopo, nulla è più indicato di una serra, di un terreno o di un capannone agricolo.