Non sono mai stata una fan sfegatata del Festival del giornalismo di Perugia. Sono sicura che sia stato e continuerà ad essere per molti un’occasione, un momento di approfondimento. Per alcuni però, se volete con un po’ di malizia, temo sia stato soprattutto uno spazio di autocelebrazione. Per quelle “giornalistar” – citazione di un collega – un po’ vittime e un po’ carnefici di quel giornalismo autoreferenziale che ha finito per fagocitare se stesso (e che forse ha contribuito a levare via Solferino al Corriere della Sera per darlo, leggevo oggi, a Versace).
Il Festival del giornalismo di Perugia comunque, nel suo annuncio di chiusura e poi rilancio col “ci saremo col crowdfunding”, è diventato per me un’occasione per approfondire questa tecnica di finanziamento. Ne ho parlato con Claudia Vago, la @tigella che col crowdfunding si è finanziata il reportage su #occupychicago, e Carlo Frinolli l’organizzatore di crowdfuture, la prima conferenza sul finanziamento collettivo di idee innovative che si è svolta a Roma appena due giorni fa.
Una domanda, in particolare, mi prudeva in testa: ma perché l’idea del crowdfunding non è stata lanciata da Arianna Ciccone e Chris Potter come la vera novità dell’International Journalism Festival 2014?
La domanda è diventata un tweet:
@_arianna ma non era meglio lanciare il #crowdfunding come #novità nel festival anziché come #ripiego? #ijf14 #tantorumorepernulla
Il tweet una conversazione:
@fenicediboston ma noi non ci pensavamo proprio. l’idea è venuta da qui dopo annuncio chiusura. quindi che c’entra ripiego?
E la conversazione è diventata questo post.
Utilizzare il crowdfunding come la vera novità dell’edizione 2014 dell’IJF sarebbe stata, secondo me, una svolta in positivo. Nell’epoca dei contestati finanziamenti all’editoria, degli sprechi pubblici e dell’austerity lanciare il nuovo Festival del giornalismo come esperimento di autofinanziamento avrebbe potuto rappresentare un cambiamento. Un messaggio: l’informazione è un bene così prezioso che la gente vuole contribuire a celebrarlo, i media un prodotto ancora valido che i privati vogliono sponsorizzare, la comunicazione così avanti che si autosostiene.
Parlare di crowdfunding solo come alternativa allo stop e “dopo l’annuncio di chiusura”, come una soluzione a cui gli organizzatori “non pensavano proprio” sembra invece esattamente il contrario: non una proposta attiva ma una in negativo, non una scelta di volontà ma una misura di salvataggio in extremis. Un ripiego, insomma. E anche un’occasione persa.
Non è così? Lo spero. Tanto che al prossimo Festival di Perugia auguro di essere qualcosa di più che una fabbrica di sogni dove le grandi firme di un’epoca ormai prosciugata si mostrano a giornalisti in erba, i quali incontrandoli sperano di svoltare una carriera fatta – quando va bene – di contratti precari e articoli pagati pochi euro.
Altrimenti ci sarà, a mio avviso, molto poco da festeggiare.
Post Scriptum
Per l’intervista doppia Vago-Frinolli sul crowdfunding stay tuned