Negli ultimi mesi è difficile passare una giornata tra giornali, riviste on-line, telegiornali e talk show senza imbattersi almeno una volta in un dato: un tasso di disoccupazione giovanile da record, che è arrivato a superare il 40%. Solitamente, visto che la sintesi è una virtù, il concetto è riassunto con titoli come “allarme, un giovane su due è disoccupato”, o “la metà dei giovani non trova lavoro”.
Peccato che questo non potrebbe divergere di più dalla realtà, e il risultato è una sistematica distorsione dell’informazione trasmessa ai lettori/telespettatori.
Il problema di fondo è la differenza che corre tra il dato puro e l’informazione che se ne può ricavare, che può sfuggire al lettore ma non dovrebbe essere ignota agli autori di contenuti. Purtroppo in Italia la consultazione di un esperto o il fact checking non sono ancora radicati come in altri paesi occidentali.
Un dato è la misurazione quantitativa di un fenomeno. Di per sé non ha contenuto informativo, e per assumere un qualche significato deve passare attraverso un processo di comprensione e interpretazione. I titoloni già citati, sono scritti partendo dall’ingenuo presupposto che il tasso di disoccupazione sia la porzione di popolazione composta da disoccupati. In realtà, come chiunque potrebbe verificare su un qualsiasi libro di testo di economia o sul glossario che l’ISTAT pubblica sul proprio sito (sì, non pubblica solo dati allarmanti), esso misura invece la porzione di disoccupati rispetto alla forza lavoro. Che differenza fa? Tutta la differenza del mondo: la differenza tra un’informazione e una distorsione allarmista della realtà.
La forza lavoro è la somma di tutti gli individui che lavorano o cercano attivamente lavoro. L’informazione sarebbe quindi corretta solo se il 100% dei giovani tra i 15 e i 24 anni stesse lavorando o cercando lavoro, e come è facile intuire non è così.
Che porzione della popolazione giovanile è quindi disoccupata? Qualcosa in più di uno su dieci, che è comunque tanto, ma molto meno dell’uno su due che le semplificazioni di cui sopra lascerebbero intuire .
Che dire sulla gravità dell’errore? Una svista? Un errore minore? Anche se fosse (e non è così) resta comunque solo uno dei tanti esempi che si potrebbero citare. Errare humanum est, certo, ma stiamo assistendo ad un fenomeno tutt’altro che isolato.
La questione è rilevante anche dal punto di vista della tenuta sociale, perché in un momento storico di crisi economica, crisi politica e crisi di un’intera generazione che stenta a vedere il positivo all’orizzonte, un sistema mediatico che invece di informare correttamente ingigantisce i problemi rischia di incoraggiare l’intattività e stimolare la rassegnazione. Le difficoltà ci sono e sono evidenti, con il numero di giovani disoccupati che ha superato le 700 mila unità nel quarto trimestre del 2013 (dato ISTAT), ma nessuno trae vantaggio dall’esagerazione, se non chi della rabbia e dalla frustrazione si nutre, come i movimenti estremisti e populisti che in Italia e in Europa stanno emergendo proprio in questa stagione politica.
Sarebbe bello avere un sistema-informazione che funzionasse a dovere, perché un buon cittadino è un cittadino che usufruisce di una corretta informazione, e quando l’errore è sistematico diventa disinformazione di massa. Come dicevano gli antichi romani: “defendit numerus”, ma i numeri bisogna saperli leggere.
Leonardo Donati
@laud_ita
Giovani (15-24 anni) disoccupati nel 2013