Prosegue fino a domenica la #MuseumWeek su Twitter con un numero crescente di partecipazioni. E’ salito a quota 700 il numero di musei partner in tutto il mondo: un bel segnale, ma senza un regolamento l’iniziativa è sempre più dispersiva.
Primo problema, la non-coordinazione tra i paesi europei: la Francia per esempio ha degli hashtag propri e questo contribuisce a disorientare il pubblico multinazionale.
Secondo problema, l’improvvisazione: sono molti i musei che cambiano le regole, sovrappongono idee a seconda dell’ispirazione. La cosa in linea di massima può anche essere interessante se non mandasse i follower fuori tema.
Oggi il tema era #AskTheCurator: in teoria chiunque ha potuto fare una domanda diretta ai curatori dei musei. Le risposte ovviamente non sono garantite nonostante Francia e Inghilterra abbiano programmato dei Bot per raccogliere le domande.
Tuttavia, pochi sono i musei che hanno presentato i loro curatori, facendone i nomi. Solo qualche museo inglese – qualcuno per eccesso di zelo si è anche scusato per l’assenza momentanea dei propri curatori. Non è purtroppo il caso dei musei italiani.
Un’iniziativa che doveva essere un inno alla cultura social (e teoricamente anche alla trasparenza che Twitter implica) finisce un’altra volta per farsi sopraffare dal non detto.
A parte i problemi di compatibilità tra politiche culturali che ahinoi ancora funzionano diversamente in ogni paese europeo, la MuseumWeek viene anche penalizzata dall’arbitrarietà che domina, in generale, il mondo dell’arte.
Infatti tanto le istituzioni quanto i curatori non seguono un metodo scientifico dichiarato nella scelta degli artisti. Questo ha delle ripercussioni negative sulla percezione dell’arte nazionale e non solo.
A differenza dell’America che ha i suoi artisti storici fissi (che acquisiscono valore con il tempo che passa), molti artisti storici italiani al contrario vengono col tempo dimenticati o svalutati.
Così la settimana scorsa è morto nell’indifferenza Cesare Tacchi. Il critico d’arte Calvesi ha colto quindi l’occasione per accusare un sistema dell’arte ingiusto oltre che antistorico (leggi l’articolo). Eppure stiamo parlando della Pop Art italiana, nata nel 1958 e cioè prima di quella americana.
Il Maxxi, che ha consacrato De Dominicis e Boetti con mostre postume, non spiega cosa impedisce di consacrare artisti, altrettanto importanti e storici, ancora vivi e per lo più precedenti agli artisti finora esposti. E’ come se gli Americani avessero esposto Warhol ignorando Duchamp.
Poniamo quindi il problema: come mai le mostre oggi sono arbitrarie? Come mai i curatori non sostengono sempre gli stessi artisti?
E’ così difficile accettare che serve una regola anche per l’arte? Una regola che vincoli curatori galleristi e musei a dei criteri universali. Per competere nuovamente con l’America – almeno sul piano culturale.
Pazienza, domani è il Selfie day: chi farà la foto più rappresentativa del mondo dell’arte?