GloβDaverio testimonial Expo 2015 per l’arte

È ufficiale: l’Expo avrà anche la cultura. Finora non c’era un volto per la sezione artistico-culturale, quella più emblematica in una mostra universale. E allora chi lo poteva fare se non Philipp...

È ufficiale: l’Expo avrà anche la cultura. Finora non c’era un volto per la sezione artistico-culturale, quella più emblematica in una mostra universale. E allora chi lo poteva fare se non Philippe Daverio?

La figura più istituzionale della cultura italiana ha fatto non a caso un grande ritorno in tv ieri: prima a Uno Mattina sulla Rai con la Sottosegretaria Mibac Borletti-Buitoni, poi su La7 a Servizio Pubblico (Santoro) la sera, a confronto con Landini (Fiom), ognuno calato nel suo ruolo. Un Daverio apparentemente lì per parlare di patrimonio e degrado, in realtà mobilitato per promuovere il programma culturale dell’Expo di Milano.

All’Alma Viva un anno fa – il festival culinario internazionale firmata Gualtiero Marchesi – dov’era allestito uno stand Expo, Daverio c’era già come ospite speciale. Il signore del format televisivo tra cibo e arte: quale testimonial ideale per una Expo 2015 incentrata sull’alimentazione.

La vigilia del 1° Maggio è iniziato il countdown a Milano: 365 giorni cronometrati per il cantiere faraonico di Rho. Lavori forzati? Quasi, o per lo meno senza sosta.

Intanto sono aperte le scommesse, l’opinione si divide tra scettici e “Expottimisti”. C’è di mezzo il rilancio dell’Italia e in bocca agli organizzatori torna il leitmotiv “Dobbiamo farcela per forza” tradotto “Abbiamo investito tutto”. Non solo lo Stato, in gioco ci sono anche le imprese, accordi commerciali europei e globali, industrie, finanza: un’economia in vitro che dovrà trasformarsi in sistema.

Si fa appunto un gran parlare del “sistema Italia” da reinventare sulle basi di un made in Italy che ormai abbiamo ben predisposto, ma non possiamo addormentarci sugli allori. Lo stesso Daverio ha ribadito che l’Italia nel mondo è sinonimo di qualità, secondo l’indice delle “4F”: Fashion-Food-Furniture-Ferrari, ma è uno standard da mantenere.

Daverio poi ha criticato Renzi – indirettamente – ridimensionando l’idea dell’Italia come “superpotenza culturale”: un’esagerazione politica o quanto meno una battaglia non vinta in partenza, come invece sembra dagli slogan di Renzi. Per Daverio contano i numeri, e paragonata alla Francia e alla Germania, l’Italia non regge. Riflessione non molto patriottica si direbbe.

Il dibattito da Santoro finisce anche sul paragone tra Uffizi e Louvre, due pilastri della cultura europea da Firenze a Parigi. Con l’enorme differenza che il Louvre è diventato un brand come il Guggenheim, trasferibile in tutte le parti del globo, perfino nel deserto, se si guarda al Louvre Abu Dhabi di prossima apertura.

Un domani avremo una succursale degli Uffizi ad Abu Dhabi? Lì o altrove è certamente in programma, e vale per tutti i musei d’Europa colmi di arte internazionale ma, come gli Uffizi, dalla superficie oggi inadatta al turismo di massa. Esportare l’arte, globalizzare la cultura: ovviamente Daverio non si è fatto carico di un tale annuncio ieri, è un discorso ancora troppo audace in Italia. Ma insomma ci siamo.

L’Expo dovrà spazzare quel che resta di provincialismo in Italia, di burocrazia radicata. Un paese creativo ma decaduto, un paese inadatto alla competizione mondiale che vuole restare autonomo. Ma l’Italia resiste come resiste l’Europa all’America, sperando in un’alternativa, in una cultura alternativa che non sia tutta mercato e marketing. Non a caso l’Europa, ancora tutta scoordinata, vuole essere pronta per il cambio della guardia, quando l’America sarà sconfitta – come modello economico.

L’entusiasmo di un prossimo cambiamento ha fatto dire la parola “rivoluzione” a Daverio in tv, rischioso.

Solo che l’Expo non abbraccia l’avanguardia, oltre all’Ogm e alla sostenibilità. In Italia si sta giusto cominciando a rispolverare le soffitte, si consacrano in fretta e furia gli anni 1950-70, Manzoni a Milano e suo maestro, Fontana, a Parigi. Si instaura ovviamente una partnership con la Biennale di Venezia, si crea coesione nazionale insomma. Cosicché Pistoletto e Cattelan possano apparire nuovi.

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