Buona e mala politicaRai e Milano. Un convegno con temi nuovi e nuovi irrisolti

  Ieri – schierando 25 relatori per una intensa giornata alla Sala Pirelli in Consiglio regionale della Lombardia – la Fondazione “Paolo Grassi” ha cercato di inserirsi, offrendo un tavolo di propo...

Ieri – schierando 25 relatori per una intensa giornata alla Sala Pirelli in Consiglio regionale della Lombardia – la Fondazione “Paolo Grassi” ha cercato di inserirsi, offrendo un tavolo di proposta e mediazione al dialogo difficile tra la Rai e il sistema-Milano, approfittando della “bufera” che si è scatenata in Rai nei suoi rapporti con lo Stato (il taglio dei 150 milioni e le minacce di sciopero), ma soprattutto di due scadenze ineludibili che il calendario presenta: 2015, i sei mesi di Expo;  2016, il rinnovo (previo rinegoziato) della concessione dello Stato alla Rai per lo svolgimento delle funzioni di servizio pubblico (e, finora, lo “Stato” è connotazione da intendersi con la riforma del titolo V della Costituzione, come pari ordinamento con Regioni e Comuni).

Si commenta qui a caldo questa giornata, che i media faticano a decifrare (per fare notizia ci vuole più polemica, più scandalo, più dietrolequinte di ciò che una Fondazione “sognante” può permettersi di produrre), perché essa ha rivelato che il problema dei rapporti tra Milano e la Rai è questione di interesse nazionale; che tuttavia il dialogo resta difficile; che per dare soluzione a vecchi irrisolti non bastano le buone intenzioni ma bisogna entrare nelle procedure di riforma e relative nuove regole che restano, per ora un po’ in ombra, ancora celate dietro il piccolo scossone del taglio dei 150 milioni (in fondo applicato a tutto il settore pubblico, ma che per la Rai è stato un campanello di allarme circa la sua pretesa impunità politica).

Matita rossa e blu. Cominciamo con le note dolenti. La governance attuale della Rai (almeno il CdA) comprende una larghissima milanesità. Nessuno – ancorché invitato – si è presentato all’appuntamento con gli operatori culturali della città, con il loro sindaco e con il loro presidente di Regione. Il direttore generale (che per la Rai è il vero capoazienda) all’ultimo momento ha mandato il vice-dg che – varesino e maroniano – ha per anni tenuto i rapporti tra Rai e sede di  Milano (difficile per lui segnalare qualche discontinuità).  Seconda nota dolente, l’imminenza di Expo. Non si è capito che mission sia realmente assegnata alla struttura dedicata dalla Rai all’evento (per ora radicata a Roma); non si è capito l’impegno non tanto a dare una “finestra informativa” per gli italiani ma a internazionalizzare davvero l’evento (su questo le voci di Piero Bassetti piuttosto che del rettore del Politecnico Giovani Azzone sono state persino più severe dei politici).

Proviamo a vedere i segnali in matita blu. Una buona ricognizione – a cui ho un po’ contribuito con la relazione di apertura [1], ma irrobustita dalle testimonianze dirette di operatori culturali e gestori della ricca infrastruttura creativa della città – sulle potenzialità non solo connesse ai contenuti ma anche al valore economico di un sistema che ha bisogno di rappresentazione nazionale e internazionale e di spazi di cogestione ideativa (non di finestre di autoconsumo localistico e di un impegno più produttivo che ideativo del centro di produzione Rai di Milano).

Qui la rendicontazione del direttore della sede (Roberto Serafini) è stata seria,  dando prova di una grande potenzialità (con le punte forti soprattutto nel campo dello sport), ciò che rende evidente la necessità di rigenerare strategie partendo anche dalle forze esistenti.

Segno giallo – ciò a valenza ambigua e destinato a vedere come si evolverà la situazione – quello messo in luce dall’ex-ministro Paolo Gentiloni. E cioè il richiamo a star dentro la procedure di “dibattito pubblico nazionale” che si è avviato sul rinnovo della concessione. I luoghi politico-istituzionali di quel dibattito ci sono e le forze in campo del sistema Milano debbono avere per vero che questa discussione non può essere delegata, facendo “richieste” (la forma prevalente del passato). Ma si tratta di entrare in quel processo facendo regia alle tante rappresentanze (tra cui quella parlamentare) con obiettivi studiati e sapendo che non si sta rappresentando un opportunismo settoriale e localistico ma – come hanno detto in tanti – l’idea che Milano sia portale della ripresa nazionale e di una parte vitale del processo di internazionalizzazione del paese.

Dunque con un ineludibile bisogno di rappresentazione e, soprattutto (anche questo più volte citato), di una rappresentazione di chi, operando in gratuità di offerta grazie al canone,  non dovrebbe avere  problemi a rimontare i suoi ritardi tecnologici trovando piena integrazione tra tv e web (per l’offerta culturale e creativa una integrazione indispensabile).

Impossibile dar conto delle tante cose interessanti contenute nelle relazioni. Si è trattato di un tema risollevato dal suo torpore (e lo si poteva fare in nome di Paolo Grassi che fu un combattente prima teatrante milanese poi presidente della Rai). Ma, con evidenza, una prima tappa di discussione (a cui la presenza di Pisapia, Maroni, Cattaneo e il grosso di politici e operatori del settori espressione del territorio, alcuni rimasti lì tutta la giornata) dimostra che, ancora senza avere affinato del tutto la strategia, la componente territoriale di questo dialogo è pronta a mettere in agenda questa priorità. Tra l’altro l’arrivo di Expo sta spingendo (lo abbiamo scritto più volte anche in questo spazio online) sui nuovi aspetti identitari della città ormai “glocal” in vista di una nuova narrazione che Expo comporta. Già faticano i media locali a cogliere il tema, se poi dovesse mancare all’appuntamento anche la seconda azienda pubblica di tv nel mondo (dopo la BBC) sarebbe un vero guaio.

X