Dopo Fuksas e Daverio per l’architettura e per la cultura, Maroni nomina Sgarbi Ambasciatore Expo per l’arte. Ormai il cerchio è chiuso, ci sono tutti, non ne manca uno sul treno dell’Expo.
Facile notare che sono tutte figure del sistema, e qualcuno è anche vicino al vecchio PD (Fuksas). Ma a nessun giornalista è venuta la pulce all’orecchio che nella polemica contro Celant, tra l’altro focalizzata stranamente solo sul compenso di Celant invece che sul progetto Celant, a nessuno è venuto in mente di chiedersi perché, pur odiandosi l’un l’altro, tutti questi figuri ai quali l’Italia è avvezza da due generazioni, proprio tutti concordano sulla crociata contro Celant.
Nessuno invece che osi puntare il dito sull’imbarazzante tematica imposta da Expo, il cibo nell’arte.
Finora tutti si sono schierati contro Celant sfoderando ridicoli pretesti burocratici: chi pretende un bando, chi addirittura l’equocompenso, in un settore che dall’artista al curatore è per natura libero da ogni regolamentazione prestabilita.
Secondo questa polemica, contro gli eccessi del sistema artistico non esiste altro che la burocrazia, un diktat che esige praticamente di pagare Celant quanto Gioni (il giovane curatore della scorsa Biennale di Venezia).
Ma non scherziamo. Gioni non ha inventato l’Arte Povera e nemmeno ha gettato le basi per una nuova corrente artistica.
Piuttosto, chiediamoci perché Expo è pronta ad offrirsi Celant pur di salvare la faccia? E chiediamoci anche come mai uno come Celant non si sia tirato indietro di fronte a una proposta così imbarazzante a livello culturale (arte e cibo). Però facciamocele tutte le domande.
Purtroppo c’è davvero da strapparsi i capelli in Italia. In questo paese gli investitori devono affrontare un’opinione arretrata che ignora totalmente le dinamiche del mercato. E dire che Franceschini ha da poco aperto ai privati con l’Art Bonus, il nuovo Decreto Cultura appena approvato al Senato. Ma non mi sembra che il governo sia pronto alla competizione, quella vera che non ha bisogno di protezionismi.
Appellarsi all’equocompenso nell’arte è un po’ come cercare di incastrare Berlusconi con Ruby: è imbarazzante per l’Italia, imbarazzante perché è come ammettere che non ci sono altre cartucce.
Dunque, in politica come nell’arte: non uno di questi critici anti-Celant ma indulgenti con Franceschini, non uno capace di competere a livello culturale?
E i giornali d’arte che subito abboccano alle polemiche dimenticandosi l’analisi artistica di loro competenza, non uno che tenta un approccio critico su Expo?
Non è vero che dobbiamo aspettare il 2015 per fare i conti con le scelte artistiche di Expo. In realtà la polemica su Celant nasconde la solita guerra di monopolio tra pubblico e privato, dove il potere pubblico è rappresentato da Sgarbi e quello privato da Celant. Ma nessuno dei due ha in mano il nuovo.
Per finire, a tutti gli attacchi Celant risponde con l’autorevolezza e l’immunità conferitegli dall’esperienza americana nella fondazione Guggenheim. In effetti in Italia Celant non ha concorrenti da questo punto di vista. Ma siamo consapevoli che l’Expo di Milano, grazie a Celant, sarà sottoposta alla linea artistica di Guggenheim invece di essere vetrina della ricerca italiana?