Cominciano oggi i corsi di “Teoria e tecniche della comunicazione pubblica” nella mia università e alla ricerca di un argomento di realtà, per fissare l’attenzione su un richiamo non teorico, prendo spunto dal passaggio televisivo nazionale di Italy in a day, l’operazione suggerita dalla produzione di Indiana a Gabriele Salvatores e realizzata produttivamente dalla Rai, attualmente nei cinema e probabilmente in prossimo secondo passaggio televisivo.
Quarantaquattromila video girati dagli italiani che hanno risposto all’appello e riordinati dal regista milanese secondo una doppia matrice: il corso di una giornata dall’alba al tramonto e due fils rouges che segnano le simbolicità, i bambini (piccoli e innocenti) e un giovane Ulisse inconsapevole ma ottimista che solca i mari per un viaggio metaforico in cui appare l’unico essere umano oltre alle celate merci.
Parliamo tanto di partecipazione e di discorso pubblico, ecco un buon esempio.
Senza la traccia interpretativa di un creativo del nostro tempo (assistito dalla tecnica centrale della cinematografia, quella del montaggio) quella partecipazione sarebbe quasi incomunicabile. Probabilmente ridondante, retorica, sgrammaticata. Il pop-popolare passa nella griglia di una ineludibile selezione e i frammenti diventano così tanti cuori di testimonianze, prendono senso narrativo nel ritmo del cinema che non sopporterebbe un infinito rallentamento. E traducono alla fine nello schermo un sentimento collettivo. D’accordo, auto-selezionato all’origine. Ma infatti nessuno ha dichiarato che si tratti di una inchiesta. Si tratta di produzione di massa ordinata secondo una lettura di una certa gerarchia di sentimenti. Ciascuno in sé “privato” ma alla fine – per chi non ha spento, per chi ha accettato la sfida dell’ascolto, per chi ha cercato di capire se identificarsi o estraniarsi – un rosario collettivo, uno spaccato sociale.
Quali sentimenti? La critica dice: troppo buonismo, troppo rifugio nella consolazione entropica, familiare, come fa l’Italia che non vuole avere per vero i suoi guai. I fan (tra cui il premier Matteo Renzi) dicono: prevale la fiducia in sé e nel paese, prevale il realismo di un adattamento operoso che si contrappone a anni di edonismo amorale condito con sogni di successo senza radici.
Ancora, si osserva che rispetto alla complessità delle tante Italie prevale – squilibrando la rappresentazione – un immaginario meridionale. Altri invece accettano che siano stati soprattutto i meridionali ad esprimere un bisogno di raccontarsi, ma riconoscono sia che il lavoro (solerte, mattutino, severo, solitario) è rappresentato con la sua impronta “nord” e che al tempo stesso i guai del mezzogiorno contaminato esplodono nella potente sequenza (questa sì, cinema) dell’imprenditore calabrese assediato dalla ‘ndrangheta.
E’ stato scritto che, in questa affermazione del tempo del selfie, si rinuncia a raccontare la politica e quindi a fare sintesi. Ma anche che, proprio per avviare una riflessione sulla vita selezionata ormai soprattutto dai telefonini (basta girare per strade e tram per vederlo), la sintesi non può essere una prevaricazione intellettuale ma la traccia saliente del sentimento reale della gente.
Per questa contrapposta possibile lettura Italy in a day – comunque la “più significativa opera di divulgazione della internet culture che sia mai stata realizzata nel nostro paese” (un commento in rete) – è un prodotto di comunicazione pubblica. Un saggio pluri-autorale e al tempo stesso “autoralissimo” che restituisce alla Rai quella funzione di cerniera sociale dei sentimenti civili che la rende una straordinaria teca poco alimentata negli ultimi anni.