Quando viene eletto il presidente della Repubblica, tutti i settori istituzionali, sociali, economici e professionali del paese si fanno qualche domanda e cercano qualche corrispondenza.
Il Presidente di cui parliamo non e’ quello del condominio, dell’associazione di categoria, del circolo culturale (per i quali si dice che un cospicuo numero di italiani sia presidente di qualcosa).
E’ il simbolo dell’unità della nazione, che riguarda anche chi diffida di quella unità. Insomma liberi di dimettersi dall’impegnativo ruolo di cittadino italiano, come fanno coloro che migrano per sempre, ma fin che ci resti questo dato simbolico fa scattare diffusamente quella domanda.
Provo a riflettere qui brevemente su un “mondo” segmentale che conosco un poco – quello del sistema della comunicazione, in particolare coinvolto negli affari pubblici e politici – per reagire alla notizia di “Mattarella presidente”.
Non si discute qui di ex-democristiani, ex-socialisti, ex-comunisti, ex-liberali. Anche se la rosa finale degli effettivi candidati ha naturalmente riaperto questa partita, già apertasi con le due elezioni di Giorgio Napolitano; e, a onore suo, tutte e due le volte elegantemente chiusa proprio da Napolitano, da un presidente in realtà capace di interpretare pragmaticamente il proprio tempo.
Si discute di tre cose:
– il messaggio comunicativo passato con questa elezione;
– la dimensione simbolica percepibile attorno a questo nome;
– il modello comunicativo che il presidente pare incarnare.
Primo tema, il messaggio.
Fare presto, anche se non subito. Eleggere un politico, ma non in trincea. Accettare il principio dell’appartenenza del ruolo del capo del Stato nel piatto della bilancia dei contro-poteri ( cioè ruolo di riequilibratore del sistema) e non tanto in quello dei poteri di governo in atto. Al tempo stesso premiare il ruolo di governo come costruttore della maggioranza, quindi tendendo a rendere marginali i soggetti a sinistra e a destra di quell’area di governo. Tutto ciò e’ stato pensato, e’ stato voluto, e’ stato percepito, e’ stato scritto. Non e’ giusto classificare come “democristiana” questa attitudine. Se avessero avuto i numeri la avrebbero perseguita anche tanti non democristiani. Renzi l’ha perseguita perché ha intelligenza politica. Vi ha aggiunto il principio di corrispondere a ogni costo al sentimento di attesa della gente. Qui indulgendo magari ad un rischioso populismo. Ma rischio inevitabile quando rispondi a quasi la metà dell’elettorato e diventi così portatore – tra verità e percezioni – anche di qualche ambiguità.
Secondo tema, la dimensione simbolica.
Desumiamola dallo stesso presidente Mattarella.
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Santa Messa e Fosse Ardeatine. Appartenenza al sentimento cattolico praticante che riguarda una tradizione valoriale italiana (ormai minoritaria e pertanto ancora più valoriale); segnale forte della memoria che ha originato le architravi simboliche della nostra costituzione. Non si sono mescolate – almeno sulle prime – altre cose più divisive ( tra cui la sicilianita’). Questi profili contano e fanno più comunicazione di tante parole.
Terzo tema, il modello comunicativo.
Qui, tutto converge. Percezione della politica come “res severa”, dunque estrema parsimonia dichiarativa; essenzialità da giurista ma anche semplicità da “popolare”; storia personale affidata alle leggi prodotte e non agli annunci fatti. Insomma un modello che oggi si direbbe anti-comunicativo. Che appare subito come il primo fattore di netto bilanciamento rispetto alla cultura invalsa nella relazione tra politica come dichiarazionismo e la iper-mediatizzazione (con delegittimazione delle istituzioni) dei luoghi della politica.
Un modello che – pur sfiorando una certa sterilità – potrebbe persino apparire come liberatorio. Certamente e’ contro-tendenziale. E che il presidente, passo passo, probabilmente riequilibrerà, non facendo cioè mancare al paese (e, per quel che l’ Italia conta, anche al mondo) almeno la spiegazione di atti e di problemi cruciali.
Perché resta il fatto che gli italiani percepiscono troppo e capiscono troppo poco. E anche attorno a ciò si generano poi debolezze sociali.
E così anche il presidente della Repubblica più adatto a controbilanciare non riuscirebbe a spuntarla se anche la stessa società non avesse qualche cromosomo adattato a controbilanciare. E, siccome la politica sarà anche sentimento ma è soprattutto argomento, essa alla fine tende ad abbandonare la democrazia se la gente a furia di non capire abbandona la politica stessa.