Theodore: “Samantha ma con quante persone parli mentre parli con me?
Samantha: “8316”
Theodore: “E di quanti di questi ti sei innamorata?”
Samantha: “641. Ma questo non danneggia l’amore che provo per te”.
Poco più di un anno fa – era l’inizio del 2014 – usciva nei cinema italiani Her di Spike Jonze e tutti rimanevamo turbati dalla storia d’amore tra il newyorchese Theodore (interpretato da Joaquin Phoenix) e il sistema operativo Samantha, senza corpo ma dotato (nella versione originale) della voce conturbante di Scarlett Johansson. Come Theodore, decine di altri uomini e donne vivevano la stessa situazione, una relazione sentimentale con un software umanizzato, con esiti follemente verosimili. Emergevano quindi dubbi, problemi, pensieri, riflessioni.
Ricordo bene quanto sono uscita scossa dal cinema dopo aver visto quel film.
Oggi la realtà profetizzata in Her è molto meno fantascientifica di quanto si potesse immaginare solo un anno fa: oggi c’è Karen, l’app che, come titola l’International New York Times, ‘ti conosce troppo bene’. L’ha sviluppata il team inglese di Blast Theory (composto dal trio Nick Tandavanitj, Ju Row Farr, Matt Adams), specializzato nel mixare performance, video e gaming, col supporto del Mixed Reality Lab dell’Università di Nottingham. Il suo sviluppo è stato supportato anche da una campagna sul sito di crowdfunding Kickstarter.
Karen verrà lanciata il 16 aprile e sarà poi disponibile gratuitamente su Apple Store.
Il concetto è questo: una sorta di life coaching mixato a storytelling digitale. In parte storia, in parte gioco, l’app è creata per essere utilizzata solo per un determinato periodo di tempo e per mettere volontariamente (e anche fastidiosamente) l’utente di fronte all’evidenza del rapporto che può crearsi con un digital device. Tutto ciò va contro i principi classici dello user experience design, formulato solitamente per eliminare il disagio dell’utente e non certo per stimolarlo: un po’ geni, un po’ sadici, questi di Blast Theory.
L’app si basa su video in cui Karen è impersonata dall’attrice televisiva inglese Claire Cage, che si approccia all’utente facendo alcune domande (Ti stressi facilmente? Hai avuto un’infanzia felice? Ti sforzi di pensare positivo? And so on.) e raccontando anche di sé e della lunga relazione da cui è appena uscita. Friendly, molto friendly… fin troppo friendly.
Nel corso della conoscenza e nel crescere di questa surreale empatia, ecco che Karen comincia magicamente a tirare fuori informazioni non esplicitate ma inferite sul suo interlocutore, che non si capaciterà di come diavolo tutto ciò sia venuto alla luce.
Karen parteciperà al Tribeca Film Festival’s Storyscape Competition, che premia approcci innovativi e interattivi allo storytelling.
La promessa iniziale è che se tu condividi con Karen, Karen ti farà scoprire cose di te che non immagini: ma solo alla fine dell’esperienza, quando per 3 dollari e 99 si può acquistare il proprio profilo psicologico compilato dall’app. Non c’è però una ricerca attiva di miglioramento personale nell’invenzione di Karen, specificano quelli di Blast Theory, ma semplicemente un voler rendere consapevole l’utente con un’esperienza ‘forte’ di quanto il rapporto con i device tecnologici possa avere confini sempre più nebulosi. “Karen – dice Matt Adams – permette di sperimentare efficacemente come l’utente può rapportarsi a un personaggio animato da un software con la peculiarità di adattarsi all’utente”.
L’accento si pone su un futuro prossimo in cui il concetto di ‘umano’ diventa sempre più sfumato, un futuro in cui appare possibile e anche desiderabile avere in tasca un’entità amica che agisca come se ci conoscesse a fondo. Forse, vien da pensare, in un mondo sempre più incerto e volubile, è comprensibile il desiderio di un compagno fidato, un’entità che ci conosce e ci capisce… di qualsiasi tipo essa sia.