Dopo tanta attesa, dopo le incertezze del “celafaremo noncelafaremo”, la due giorni di apertura di Expo è arrivata carica di segnali. Al tempo stesso positivi, inquieti, negativi.
Positivo Expo, con la sua immensa offerta, fatta di architetture, volti del pianeta, giovani, punti di ristorazione curiosi, articolazione del tema alimentare, rapporto tra nutrizione e tecnologie. Soprattutto con una grande voglia di comunicazione identitaria che investe nazioni, regioni, città. In una chiave non aggressiva ma con un sottinteso solidale. I ragazzi votano “I like” e da Padiglione Italia si esprime un progetto per le scuole che intercetta bene questa disponibilità. Padiglione Zero è una meraviglia e da tempo non si vedevano soluzioni espositive creative così spaziosamente efficaci.
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Qualche inquietudine per l’articolazione della “messinscena”. L’inaugurazione in Expo (difficili sono sempre le cerimonie laiche, che rischiano per ogni parola detta e omessa, per chi c’è e chi non c’è, per l’impossibilità di fare “silenzio” come avviene nelle cerimonie religiose e quindi con copioni carichi) non è andata male.
Il premier Renzi ha trovato finalmente anche le prime riflessioni adeguate – cioè non improvvisate – su Milano. Una città – ha detto Renzi – capace di organizzare oggi risposte nell’interesse dell’intera Italia per alcune delle morse che stringono il Paese e l’Europa. Morse che riguardano deficit che ci circondano: di democrazia, di pace, di sicurezza, di sviluppo, di qualità sociale. Ed è – sempre nella sua lettura (anche con racconti di famiglia) – una capacità che viene da lontano, da una cultura sperimentata dell’accoglienza.
Per la verità quell’inaugurazione ha avuto forse un suo deficit nella internazionalità (si è parlato solo in italiano, l’unico ospite straniero uno sconosciuto rappresentante del Bie) e il suo carico di effetti nazionali (inno di Mameli ottimizzato, carabinieri, frecce tricolori) ha avuto così un protagonismo discutibile. Vero che nei discorsi del sindaco Giuliano Pisapia e del Papa il carattere globale del tema di Expo è emerso bene così da far ricordare che è sulla “nutrizione” e non sui “ristoranti” che si concentra il nodo tematico. Nel complesso un evento più che accettabile.
Mentre il concerto in piazza del Duomo non ha visto una Rai brillante. Location magnifica, Duomo sfolgorante, la Scala da par suo, Lang Lang vitalissimo. Ma Bonolis inadeguato (non si fa la caricatura delle lingue straniere, non si chiama la collega “donna padiglione”, non si baratta l’atmosfera per una battutina); insieme a nessuna idea di racconto di Milano fuori dalla cartolina del Duomo unita a imprecisioni di camera e di microfoni. Turandot ha invece mostrato il valore di un ripensamento scenico e quindi la capacità di rinnovamento artistico attorno al melodramma italiano e quindi alla vitalità della Scala. Regia, scenografia, orchestra, voci hanno strappato Puccini dall’Ottocento e lo hanno ricollocato nella sua ambigua modernità. Oltre alla Scala, qui anche la Rai ha dato il meglio, dai tecnici alla brava Maria Concetta Mattei che ha messo contenuto e garbo nei raccordi.
Va da sé che la negatività maggiore si è prodotta non tanto per “manifestazioni di dissenso” (il non averle sarebbe stata una forzatura identitaria rispetto alla prassi milanese). Quanto per il lasciarsi scappare il drappello dei professionisti della violenza – noti in anticipo – che forse potevano essere messi al guinzaglio per tempo (ma difficile giudicare da casa) e che hanno ferito stupidamente una città che sa reagire agli eventi (giusti e sbagliati) e alle storture del capitalismo con più strumenti di una banda di esagitati. Oltre ai danni economici questi fatti stresseranno il già preoccupante, perché molto alto, dato percettivo del tema “sicurezza/ordine pubblico” che, tra il semestre Expo e il semestre elettorale, rischia di marginalizzare la domanda sociale di buona politica (cultura, coesione, sviluppo).
Comunque si parla di duecentomila visitatori circolanti nelle 48 ore. Cifra rispettabile e città in buone condizioni di assorbimento. In città, oltre al tappeto rosso per i magnifici ottanta di Giorgio Armani (un tassello dell’identità e dell’attrattività di Milano che da solo non spiega il tutto, ma senza il quale il tutto perderebbe una delle sue antenne nel mondo), evento di spicco è stata l’apertura del nuovo “Museo Pietà Rondanini” al Castello Sforzesco. La scelta ha un gande valore anche simbolico perché il fascino dell’opera sta, come è noto, nel suo “non finito” che si presta a tante declinazioni per leggere il rapporto che Milano, Italia ed Europa – nella lunga rappresentazione di questo Expo (in cui la vera battaglia sarà nel riuscire a “fare notizia”) – vogliono sinergicamente esprimere rispetto all’uscita dalla crisi, rispetto alla soluzione della tragedia mediterranea e rispetto all’investimento nella cultura e nella conoscenza come scelta strategica dello sviluppo.