Buona e mala politicaLe quattro anime di Milano (civismo e 2016)

In coda ad una iniziativa del Movimento “Milano Civica” promossa alla Società Svizzera di Via Palestro a Milano il 19 maggio con un panel di discussione introdotto da Nanni Anselmi e Andrea Boitani...

In coda ad una iniziativa del Movimento “Milano Civica” promossa alla Società Svizzera di Via Palestro a Milano il 19 maggio con un panel di discussione introdotto da Nanni Anselmi e Andrea Boitani teso  a rigenerare, con opinioni della società civile,  la nuova relazione tra domanda e offerta di politica, guardando alle elezioni amministrative del 2016 (sono efficacemente intervenuti Giovanni Azzone, don Walter Magnoni, Alessandro Rosina, Luigi Corbani, Dario Di Vico, Beppe Merlo  e Chiara Ferrari), ho svolto un breve intervento che mi hanno chiesto di annotare. Cosa che faccio volentieri su questa pagina di appunti che dedico da tempo al conflitto tra buona e mala politica.

Ho fatto riferimento alle elezioni del 2011 ricordando che, pur scalfito e pur cambiato, ancora valeva il paradigma storico del posizionamento della politica: destra, sinistra, centro.  Valeva soprattutto perché era forte l’istanza di discontinuità che quel paradigma permetteva di rappresentare con semplicità. Siccome il “centro” si profilava con l’illusione di essere un baricentro naturale (in realtà rivelandosi una pozzanghera elettorale) il campo di gioco si semplificava ulteriormente: centrodestra e centrosinistra. Ciascuno dei due contesti con una variabile ormai pronunciata: conduzione partitica o conduzione civica? E con diverse sfumature: regia municipale o regia regolata dal quadro politico nazionale?

In verità in quella campagna che finì con un distacco di quasi dieci punti di Letizia Moratti da Giuliano Pisapia – dunque con la soluzione del cambiamento – un intellettuale militante come Guido Martinotti ci avvertiva dell’indebolimento, rispetto alle dinamiche di “comunità”, delle categorie di destra e sinistra, dicendo che la scelta vera era diventata quella “tra la città che regrediva all’indietro e la città che poteva essere progettata in avanti”. Andando verso il 2016 lo schema di riferimento non è molto cambiato. Paradigmi di posizionamento e questioni di specificità restano come erano. E tuttavia qualcosa prende corpo con molta più evidenza. La compresenza di almeno quattro diverse anime della città (identità, vocazioni, interessi) che costituiscono ormai i veri “partiti” che raccolgono sentimenti, valori e  economie  della città. Un registro di conflitti, ma nell’accezione milanese della parola che vuol dire anche “energia”.

C’è dunque una Milano locale che vuole difendere tradizione e caratteri autoctoni. Essa ha tollerato – ma anche condiviso – i lunghi tempi dell’ibridazione. Ma tiene alla distinzione, tiene (tanto a livello borghese che popolare) alla sua “cinta”.

C’è poi una Milano territoriale che ha avuto nel tempo fortuna e sfortuna di ruolo. Oggi essa riparte da una più evidente sconfitta (di immagine e di governo al di fuori della sanità) della Regione rispetto alla città; e cerca di rappresentare la potenzialità metropolitana, non tanto sotto il profilo puramente amministrativo ma come territorio di nuova organizzazione delle innovazioni produttive e dell’attrazione degli investimenti. Un antico spirito della “Milano ducale” che – con i limiti per ora delle risorse finanziarie – ha potenziali di egemonia.

E c’è poi naturalmente – qui con sentimenti diciamo post-risorgimentali – la Milano portale della Nazione che, chiuso il berlusconismo che portava qualche consenso ma anche molto dissenso dell’Italia verso i “milanesi”, è cosciente di una storica milanesità al servizio della riscossa e della crescita del Paese (la stessa filiera agro-alimentare che porta l’Italia nel mondo attraverso Milano, come Expo dimostra, ne è un esempio).

Infine c’è la Milano globale che, tutt’al contrario, considera le sue molteplici connessioni con il pianeta (non solo moda, ma anche sapere, ricerca, conoscenza, energia, salute, volontariato, eccetera) materia ormai sufficiente per promuovere una più evidente disintermediazione degli interessi della città rispetto a quelli dell’Italia.

Conflitti e ricomposizioni appartengono ora ad analisi più complesse delle etichette di posizionamento retorico che riempiono le elezioni di luoghi comuni. E richiedono – soprattutto le ricomposizioni – non tanto nominalismi ma sintesi vere simboliche e vocazionali. Profili non tanto diffusi nell’offerta politica, rispetto a cui tuttavia un certo civismo milanese si è esercitato e non dovrebbe smettere di contribuire. 

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