Archipelago-townThe Art of Furnishing. I futuri del Mondo alla Biennale. Venezia, 2015.

    'Ah! Finalmente l'opera di un artista!' L'escalamazione liberatoria, pronunciata dai pochi altri visitatori ammessi alla preview di martedi 5 Maggio di fronte alle grandi opere di Baselitz, un...

‘Ah! Finalmente l’opera di un artista!’

L’escalamazione liberatoria, pronunciata dai pochi altri visitatori ammessi alla preview di martedi 5 Maggio di fronte alle grandi opere di Baselitz, una delle poche stanze degne di nota della Biennale dell’Arte in corso di Inaugurazione, ha espresso un pensiero che mi si stava formulando nella mente da diversi minuti. Di fatto, i pochissimi minuti necessari per percorrere i 300 metri delle Corderie dell’Arsenale senza provare mai la necessità di leggere i testi di accompagnamente delle opere esposte, men che meno, fermarsi davanti alle ‘opere’ stesse.

l motivo? Che le supposte opere d’arte appaiono esercizi di arredamento techo-radical chic/kitsch che hanno trasformato la Biennale di Venezia in una sorta di gigante installazione fuori scala ‘alla Rossella Orlandi,’ la gallerista milanese nota per accumulare arredi cozzaglia di ogni tipo, assemblati alla carlona da una sottopagata manovalanza che dovrebbe rappresentare, nella retorica che le accompagna, una sorta di critica ‘radical-chic-kitsch’ della globalizzazione commercializzata a prezzi irreali, utili ad attrarre i Nuoveau Riches del mondo, del vicino e medio Oriente.

Come si sa, alle mostre si possono adottare due stili diversi di visita. Ci si può preparare diligentemente, leggendo ante litteram, le copiose letterature che gli organizzatori mettono a disposizione in tutti i media oggi possibili. Oppure presentarsi in uno innocente stato di ignoranza e vedere se le opere esposte siano in grado di comunicare qualche cosa in qualche modo, senza ricorrere all’aiuto della letteratura di accompagnamento. Nel caso in questione, ho adottato questa seconda modalità che sempre più spesso trovo più interessante, sia per mancanza di tempo che per mettere alla prova l’evento, considerata anche l’estrema concettualizzazione che, da quando la finanzia internazionale lo ha assalito, ha preso il sopravvento nel mondo dell’arte.

Come ci si può aspettare da quanto scritto sopra, il test comunicativo delle opere è fallito miseramente, secondo modalità preoccupanti al punto da non mettere in grado il visitatore casual come il sottoscritto di capire neppure le intenzioni del curatore. Questo stato di confusione ha reso necessario un’attenta lettura del comunicato stampa, da cui tali intenzioni emergono. Quali sono queste intenzioni del progetto espositivo? Nelle parole del Presidente Baratta, ninte di meno che ‘convocare le arti e gli artisti da tutte le parti del mondo e da diverse discipline per formare un Parlamento delle Forme!’ Di qui l’appello a 136 artisti da 53 paesi del mondo considerati ‘periferici’ in grado di fornire una preview di ‘tutti i futuri del mondo,’ come recita il titolo scelto per l’edizione del 2015, ovvero una specie di rete a maglie larghe in cui si può sostenere tutto e il contrario di tutto. Come sempre più spesso accade, il progetto di essere politicamente corretti domina su tutto il resto, qualità delle opere comprese, nonostante i molti ‘filtri’ a cui il direttore si riferisce nel suo intervento.

Questi numerosi, confusi filtri dovrebbero rendere manifesto lo ‘stato delle cose’ invece che l’apparenza delle cose.’ Nelle parole di Okwui Enwezor: ‘la domanda principale posta dell’esposizione è la seguente: in che modo artisti, filosofi, scrittori, compositori, coreografi, cantanti e musicisti, attraverso immagini, oggetti, parole, movimenti, azioni, testi e suoni, possono raccogliere dei pubblici nell’atto di ascoltare, reagire, farsi coinvolgere e parlare, allo scopo di dare un senso agli sconvolgimenti di quest’epoca? Alla Biennale di quest’anno, il curatore insieme agli artisti, agli attivisti, al pubblico e ai partecipanti di ogni genere saranno i protagonisti centrali nell’aperta orchestrazione di questo progetto.’

Obiettivo principale del disordine del mondo appare essere, nelle intenzione del curatore, la natura del ‘capitale’ oggetto di analisi di Carlo Marx, un teso recentemente tornato di attualità. Alla Biennale, Il testo del capitale è tornato, letteralmente, al centro delle scena. La stanza centrale del padiglione centrale dei giardini ospista un teatro/auditorium in cui il testo è letto dalla prima all’ultima pagina in una perfomance dai contorni disumani che farebbe impallidire anche Hans Ulbrich Olbrist.

Enwezor ritiene fondamentale che il Capitale venga letto alla lettera, riga dopo riga,in modo da equipaggiare il visitatore con una ‘neonata’ lettura. Enwezor parla del Capitale come di un filtro per una più profonda l’analisi delle storture del mondo contemporaneo. Allo stesso modo pensa che gli altri filtri enunciati–Vitalità, il giardino del disordine–possano scavare a fondo lo stato delle cose, mettendone in crisi l’apparenza. E’ un vero peccato che il suo progetto geopolitico non venga supportato dalle opere selezionate che, fatta salva la notevole eccezzione del Padiglione Italia che, per una volta, svetta sul resto per la qualità degli artisti presenti, non sembrano in grado di andare oltre la ri-trita produzione di statement più o meno  politically correct. L’effetto visivo è quello di una interminabile lounge di arredi tecno-chich in procinto di diventare kitsch allineati per centinaia e centinaia di metri allo scopo di far riposare le stanche membra delle crescenti ordi di annoiati, press-preview addicted pronti a postare sul loro profilo FB le immagini più disparate e, spesso, disperate.

Sono questi i tanto ricercati e diversificati ‘futuri del mondo?’

Tante magliette colorate benetton-style per vitalizzare la nuova Furnishing Art ?

L’autore del blog teme che lo siano …..

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