Che cosa abbiamo imparato da queste elezioni regionali?
Hanno vinto tutti, tranne chi ha vinto
In un gioco in cui si assegnano 7 punti, di norma, il giocatore che ne prende 5 vince. Ma la matematica nazionale, in politica, non prevede questo esito.
Il vincitore – in questo caso Renzi (e il Pd) – avrebbe dovuto conquistare tutti e sette i punti. Perderne anche soltanto uno significa dichiarare la crisi del vincitore, sospettare delle regole adottate durante la gara, interpretare il voto con abuso di supercazzole.
In compenso, tutti gli altri hanno vinto. Ha vinto chi pensa di fare la nuova sinistra con l’8 per cento e, nel frattempo, fa vincere la destra. Ha vinto chi del suo 20 per cento di elettorato non sa che farsene perché semplicemente non ha nessuna intenzione di prendersi delle responsabilità. Ha vinto chi si spacca, agonizza, divora ed espelle gli infedeli mentre continua a precipitare nei consensi.
Europa o no? Questo è il dilemma
Tutto ciò non deve stupire. Basterebbe guardare ai nostri vicini europei per scoprire che nessun altro governo in carica in Europa ha ottenuto un risultato così incoraggiante nelle elezioni di mid term. Quasi sempre, nelle elezioni di metà mandato, gli elettori mandano segnali inquietanti ai governi in carica. In Italia è successo esattamente il contrario: il Pd governa oggi in quasi tutte le regioni italiane.
Ma qui si spiega il profondo iato con il resto d’Europa. Negli altri paesi si vince per governare. In altre parole: il vincitore è colui che governa. In sostanza, i voti contano se ti permettono di governare. In Italia, basta poter “disturbare” per ritenersi soddisfatti. E’ l’eredità di una radicata mentalità proporzionale per la quale non vince mai nessuno e vincono tutti, anzi vince di più chi può lucrare su poteri di veto e agguati, mica chi conquista la maggioranza.
Perderemos
Dopo Syriza, Podemos. Sinistre buone a nulla e populismi di ogni risma. Ci avevano sperato (o forse no). E’ andata (molto) diversamente.
E’ vero, Salvini avanza alla grande: peccato che lo faccia a spese di un alleato che nel frattempo sprofonda. L’alter Matteo, inoltre, dimentica che l’unica operazione ‘politica’ di livello l’abbia messa a segno (in Liguria, con il povero Toti, che ha la nostra solidarietà perché governare una regione che nemmeno conosce era proprio l’ultima cosa che avrebbe desiderato fare) un certo Silvio Berlusconi, ricomponendo il centrodestra.
Il benaltrismo di sinistra ha conquistato qualche punto percentuale in Liguria, roba da naufraghi sull’isola dei Civati più che da Sol dell’Avvenire.
Gioisce, intanto, il populismo laburista (sì, populismo, non mi sono sbagliato: l’ho scritto apposta) di Stefano Fassina: l’Italia si è salvata dalla deriva “liberista e plebiscitaria”. Diverte pensare che la vittoria di Toti riesca a procurare tali brividi ai vecchi compagni…
Intanto, il M5S se la racconta, giura e spergiura di aver stravinto ma – senza allearsi con nessuno – quei (tanti) voti stavano e restano in freezer.
Ma tanto si sa: perdere in Italia è (quasi) come vincere.
Dagli alla “democratura”!
Insomma, quel reuccio di Renzi, alla fin fine è stato rivotato dagli italiani con un rotondo 5-2. Niente spallata, niente crollo, niente sfiducia.
Ma questo conta poco per gli untori del voto dei cittadini sparsi per la penisola.
Che, nel frattempo, però, dichiarandosi vincitori, di fatto smentiscono quel clima di dittatura evocato ad ogni tweet del grande timoniere.
Se è vero (come è vero) che Renzi ha perso la Liguria, che ha traballato in Umbria, che ha vinto in Campania con gli arbitri (del malaffare) a favore, che è stato stracciato in Veneto nella sua versione ladylike vuol dire che le istituzioni italiane restano contendibili e che questa storia della democrazia in pericolo è la solita baggianata di buoni a nulla sull’orlo di una crisi di nervi.
Ma se il duce non c’è, l’eterna coazione a ripetere un piazzale Loreto mediatico in ogni possibile occasione non è più argomento di ragionevole confronto ma roba da psicanalisti di turbe infantili e narcisistiche.
La rottamazione? Quanti pianti di orfani e vedove…
Ma che fine ha fatto la rottamazione? Questa domanda è, forse, la più diffusa tra i rottamati della prima ora. E si potrebbe tradurre anche così: perché a lui si e a me no? Il tema, in verità, è più serio delle miserie dei tanti (e delle tante) “rosyconi”.
La rottamazione si è interrotta dunque? Ci siamo fatti la seguente idea.
Che Renzi ha rottamato il gruppo dirigente nazionale per conquistare il governo, non per andare in giro per l’Italia a tagliare le teste.
Che – pertanto – la rottamazione delle classi dirigenti locali è, prima di tutto, affare del Pd locale.
Che un segretario dedicato alla decapitazione del proprio partito avrebbe solo contribuito ad alimentare l’idea del barbaro alle porte del villaggio propagandata dai suoi irriducibili avversari interni (i quali rappresentano la gran parte delle burocrazie del partito).
Che la rottamazione – a differenza delle ricostruzioni più banali – non la fa un singolo uomo al comando, ma la fanno i cittadini con il voto appena ritengano che i vecchi gruppi dirigenti non siano più adeguati. E’ quello che è successo alla vecchia segreteria di Bersani a livello nazionale, che è successo al Pd genovese con la sconfitta in Liguria, che stava per succedere al Pd umbro (che non esprime esattamente il gruppo dirigente più nuovo e brillante di questo mondo…) e si è evitato per un pelo…
Tertium non datur: lo dicono gli elettori
Al di là dei risultati delle singole forze politiche concorrenti, gli elettori italiani hanno espresso un indirizzo chiaro. Le Regioni si governano con uno schema bipolare. O il Partito democratico (con annessi e connessi), da una parte. O una coalizione di centrodestra, dall’altra. Possono esserci terzi “incomodi”, ma non terzi “di governo”.
La sinistra radicale non riesce ad avere numeri significativi per fare la Syriza italiana. Il M5S balla (e ballerà) sempre da solo (se si alleasse entrando nel ‘sistema’ perderebbe progressivamente la sua capacità attrattiva). La Lega funziona solo se si coalizza. I centristi del Ncd restano travolti o schiacciati dai tank dei due poli principali.
Con l’Italicum, la vera sfida sarà di nuovo quella tra il Partito democratico e la destra che verrà…