Buona e mala politicaMigrazioni. L’Europa civica prima e meglio dell’Europa politica

(5.9.2015) - Angela Merkel ha conquistato, per sè e per la Germania, un diffuso rispetto per avere fermamente legittimato l'atteggiamento umanitario e solidale del suo paese - e quindi di tantissim...

(5.9.2015) – Angela Merkel ha conquistato, per sè e per la Germania, un diffuso rispetto per avere fermamente legittimato l’atteggiamento umanitario e solidale del suo paese – e quindi di tantissimi cittadini attraverso gesti concreti – a fronte di un’impennata globale di migrazioni determinate da incremento di guerre, violenze, barbarie, recessioni, fame. Nel frattempo una parte ancora consistente del ceto politico eropeo è rimasta dentro lo stereotipo, che è stato purtroppo attribuito agli attuali socialisti francesi, secondo cui “attenti alla questione migratoria perchè ci si brucia le dita“.

Figuriamoci il composito fronte degli “impietosi”, da Le Pen a Orban da Salvini a Grillo. Senza avversari convinti di un altro sentiment dell’opinione pubblica (a parte papa Francesco, si intende), si sono presi alcuni mesi di palcoscenico vuoto riempiendo i media del loro “realismo” opportunistico. Un vantaggio politico ed elettorale che una parte consistente dell’establishment governativo europeo (e brussellese) ha concesso, nella recondita idea che se la mannaia elettrorale cade separando buonisti e realisti i secondi vincono a mani basse. Le urne che, sulle paure, hanno costruito qualche anno fa Alemanno sindaco di Roma sarebbero nel repertorio di questa tesi.

Questo teatro raggelante è stato oggi descritto in una sua opinione in rete dal mio amico, storico dei media, Peppino Ortoleva: ” Adesso sono diventati tutti buoni: solidarietà, comune umanità, gente come voi e come noi…gli editoriali si sprecano. Prima erano tutti reticenti, le regole di Dublino, i rischi di infiltrazione terroristica, gli immigtranti economici da distinguere da quelli politici (come se emigrare per fame fosse un reato, e poi parlano di leggi del mercato, ma a quanto pare noi dobbiamo farci i nostri conti e loro no”.

Appunto, si è creato improvvisamente un prima e un dopo. Verrà un giorno in cui proprio gli storici dei media diranno che lo spartiacque è stato creato dallo sdoganamento internazionale (la pubblichiamo, non la pubblichiamo, la pubblichiamo) dell’immagine di Alan Shenu (credo che si chiami così, ci sono state correzioni sia sul suo nome che sul suo cognome), il bambino curdo di tre anni con la maglietta rossa e i pantaloncini blu, annegato con la mamma e il fratello di cinque anni al largo della Turchia e ieri sepolto a Kobane alla presenza degli inviati di tutti i media del mondo pari a quanti assistono al discorso di insediamento del presidente degli Stati Uniti. Quella foto è stata certamente uno schiaffo al mondo intero, che pareva inventato dalla discutibile arte di Maurizio Cattelan ed è invece un fotogramma prodotto dal volto più noto della storia, la crudeltà. Come si sa, i media producono un incessante racconto simbolico. Così che i fotogrammi della storia, appunto incessanti, sono sostanzialmente frammenti simbolici. Non possiamo leggerli tutti come pietre che cambiano la storia. Le pietre che cambiano la storia sono processi, meno indagati dai media che sono ultra-sensibili ai fatti ma ultra-miopi di fronte allo scorrere dei processi.

Angela Merkel – espressione di una Germania socialmente organizzata, in cui l’automobile di maggior successo si chiama “auto del popolo”, figlia di un pastore luterano e lei stessa cristiana protestante, oggi alleata ai socialdemocratici – legge più la sua opinione pubblica che i giornali. E i gesti di solidarietà a fronte di un processo migratorio straordinariamente mutato negli ultimi tempi di senso, natura, provenienza, li ha notati, pur essendo quei gesti parte di un pudore civico senza platealità.  Su quel sentimento ha intelligentemente organizzato la distribuzione dei migranti (in Germania sempre in quote più elevate) non verso i grandi centri urbani ma verso villaggi e piccoli centri. E su questo spunto “organizzativo” ha consolidato una infinità di micro-gesti esemplari (le reti televisive tedesche hanno cominciato dieci, venti giorni fa a far vedere cittadini che portavano vestiti lavati e puliti agli immigrati, dopo aver provveduto per il loro alloggio e per il loro cibo) che – come tutte le immagini veicolate dalla tv – invadono viralmente ogni confine. Si è così formata a Budapest una rapida coscienza civica e solidale – fiera risposta, degna di un orgoglio di altri tempi degli ungheresi, alla demenza di Orban che ha pensato di fermarla lui la storia, impedendo a migliaia d profughi veri di non salire sui treni per l’Austria – e da quella impensata forza civica è nata la scorta ferma e pacifica di questa nuova migrazione biblica, che – come è scritto nel Pentateuco – trasferisce a piedi nel mondo i figli di coesistenze impossibili. E questa forza ha contaminato (altro paese da cui è bello finalmente sentire una reazione civile della gente) i cittadini austriaci che hanno fatto la staffetta con ogni mezzo disponibile, verso quella Germania invocata dai profughi e dove sono arrivati applauditi per strada.

Il mosaico della bontà, la sorpresa della rivincita della solidarietà” scrive oggi Gabriele Romagnoli su Repubblica. E Pierluigi Battista così attacca il suo pezzo sul Corriere: “La marcia ha un impatto simbolico fortissimo, più di un banale corteo o del solito comizio. I reietti, i dannati della terra, i profughi in fuga da fanatici e tiranni che non vogliono rinunciare a percorrere quei 250 km che li separano dalla libertà, scendono dai treni e si mettono in marcia da Budapest“. Senza quei cittadini di mezza Europa, che hanno scritto “benvenuti” con il pennarello su fogli di quaderno, forse oggi nessuna prima pagina dei grandi media del mondo registrerebbe una “svolta” che la Germania sostiene e rispetto alla quale i governi d’Italia (propensa), Francia (in tendenza) e Gran Bretagna (ancora ostile) sono attesi al varco da milioni di cittadini che hanno visto con i loro occhi che, “a sorpresa”, altri cittadini possono smontare i castelli di carta dei pregiudizi e “fare politica” quando la politica professionale balbetta, aspetta, discetta.